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Assoc. Medica Disturbi di Relazione

"associazione a carattere socio-sanitario  destinata  alla cura e alla prevenzione dei Disturbi del Comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità), inquadrabili nei Disturbi di Relazione, attraverso un'azione diretta sul territorio nazionale con allargamento nel Sud del Mondo attraverso missioni di interscambio "

 

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Processo di formazione dell'identità sessuale e

disabilità al femminile

A cura della Dott.ssa Angela Biavati

Parole come processo, formazione, identità, sessualità, femminilità sottendono un certo senso di movimento. Procedere attraverso passaggi, fasi, tappe; formazione come cambiamento, crescita, passaggio da uno stato ad un altro; identità come un qualcosa che muta nel tempo, nella storia dell'individuo, pur mantenendolo fedele a se stesso, alle sue radici familiari e sociali, nonchè in grado, contemporaneamente, di modificarsi; infine, femminilità, concetto poco definito e definibile che non si rinchiude facilmente in una gabbia che non sia costituita da luoghi comuni e stereotipi che coinvolgono ciascuno di noi, disabili e non.

Vorrei trasmettere un'ide di movimento, non già perchè un certo movimento possa presentarsi quale forma distorta di compensazione alla mancanza o alterazione di movimento muscolare implicita nella disabilità fisica, motoria appunto.

Sarebbe una sorta di luogo comune che non solo è vecchio, ma che io credo debba essere smentito. Il movimento della testa non è quello del corpo! Ma perchè nel movimento è implicita la potenzialità, la realizzazione di uno sviluppo verso una qualche direzione.

In mezzo a questo movimento viene voglia, tanto per non annegare, di trovare dei punti fissi. Alcuni, pochi, li possiamo trovare. Potremmo chiederci, per esempio, da viene la femminilità.

E scopriremmo che la femminilità, cos'è come la mascolinità, è un dato genetico. Infatti, al momento del concepimento si aprono due possibilità: o si incontrano due cromosi XX (XX), oppure un cromosoma X e un cromosoma Y (XY). E questo è un imperativo biologico, legato a questo, per il quale solo l'uomo può fecondare, solo la donna può procreare.

Mi pare interessante osservare le fasi di sviluppo di questo processo biologico che porta al costituirsi dell'identità di genere.Tra il concepimento e la nascita avvengono non meno di quattro trasformazioni principali per quanto riguarda la differenziazione sessuale del nascituro. Alla formazione della cellula iniziale, uovo e spermatozoo contribuiscono con 23 cromosomi ciascuno, la nuova cellula quindi risulta formata da 46 cromosomi di cui solo una coppia determina il sesso genetico.

La madre contribuisce sempre con una X, il padre con una X oppure con una Y, se vince la X si avrà una femmina cromosomica, XX, se, invece, vince una Y, XY, si avrà un maschio cromosomico.

La singola cellula si moltiplica rapidamente, si muove velocemente formando un gruppo di cellule che si riunisce a formare i primi rudimentali organi dell'embrione e tra questi organi sessuali sia maschili che femminili, cioè una coppia di gonadi che ha in sè la potenzialità di traformarsi in testicoli oppure in ovaie.

Dopo il concepimento e per 6 settimane gli embrioni XX e XY procedono lungo lo stesso percorso neutrale per quanto riguarda lo sviluppo sessuale, poi il cromosoma Y del padre interviene, non sappiamo ancora come, ordinando alle gonadi e ad altri corpuscoli di trasformarsi in strutture tubulari e testicoli.

Se il cromosoma Y non interviene le gonadi proseguono lungo lo stesso percorso per altre 6 settimane trasformandosi sempre più in ovaie. Se il padre dà il cromosoma X che si va ad aggiungere a quello X dato dalla madre è gioco forza far imboccare all'embrione la diramazione verso la femminilità.

Trascorso altro tempo i testicoli secernono poi ormoni sessuali che ancora una volta spingono alla mascolinità, e ancora una volta non c'è bisogno di alcuna spinta ormonale per andare, o restare? nella femminilità.

In pratica, se non si verifica una spinta verso la mascolinità il feto prende sempre più la direzione femminile.

Fino qui tutto accade in modo predeterminato, programmato, imprescindibile, forse anche perchè gli studiosi della materia non hanno ancora scoperto quali meccanismi muovano questi cambiamenti, questi passaggi. E' purtroppo o per fortuna, ancora un mistero il nascere maschio o femmina, ma è certo che il sesso cromosomico è uno, comprese le varie aberrazioni.

Da questo punto fisso parte lo sviluppo dell'identità di genere. Identità che non può differenziarsi in maschile e femminile in assenza dello stimolo sociale. E, se è pur vero che a questo punto dobbiamo entrare nel mondo delle variabili individuali e sociali, culturali e familiari, eccetera, cerchiamo di specificare cosa è l'identità di genere.

Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, testo ufficiale della Associazione Psichiatrica Americana, redatto da studiosi di levatura internazionale, tra cui anche degli italiani, definisce l' identità di genere quale "sensazione di conoscere a che sesso uno appartiene, e cioè la consapevolezza ch io sono maschio, oppure io sono una femmina. L'identità di genere rappresenta l'esperienza privata del ruolo di genere, e il ruolo di genere rappresenta l'espressione pubblica della identità di genere. Il ruolo di genere può essere definito come tutto ciò che uno dice e fa per indicare agli altri o a se stesso in che grado è maschio o femmina." E ancora specifica che il "disturbo dell' identità è un grave disagio soggettivo riguardante l'incapacità di integrare qualche aspetto di sè in un senso di sè relativamente coerente e accettabile."

Poco alla volta ci avviciniamo al concetto di identità personale partendo da dati biologici che riguardano l'identità sessuale. Infatti, l'individuo che nasce dà l'avvio ad un suo processo di sviluppo caratterizzato da una serie di fattori: dalla sua storia personale, da come era pensato e desiderato o meno dal gruppo familiare prima ancora che si formasse la coppia XX o XY, da ciò che il suo appartenere a un sesso anzichè all'altro ha deteminato in ambito familiare, sociale, legale, immaginario, eccetera; e infine da ciò che lui stesso ha avuto, diciamo così in dote dal mondo, genitori, fratelli, ceto sociale, eccetera, o perduto, per esempio malattie fisiche o psichiche.

Già, tra le cose perdute, oltre all'onnipotente mondo del grembo materno, vi può essere la perdita di talune capacità importanti per la vita: la capacità di camminare, di procreare, di vedere, di muovere il proprio corpo. Non intendo semplificare, solo mi piace e ritengo utile pensare a una disabilità in termini di perdita, e come tale da trattare. La perdita, in quanto tale, ci mette nell'ordine di idee della elaborazione di un lutto. Sono arrivata fin qui partendo da un punto di osservazione un pò particolare, cioè dall'ascolto di pazienti depressi di maggiore o minore gravità. Detto per inciso questo è un bel mare magnum e non solo della psichiatria, ma anche del nostro attuale contesto sociale.

Riflettendo su queste cose e mantenendo come chiavi di lettura la femminilità e la perdita, mi è venuta alla mente un personaggio di manzoniana memoria che ha sempre colpito la mia fantasia: Gertrude.

C'era una volta una tal Gertrude..........

Il Manzoni ci presenta Gertrude come una monaca, ma non uguale alle altre, di famiglia nobile e molto potente, insomma ha modo di spiegare Agnese, "son di quelli che han sempre ragione." Spesso la definirà come "la signora".

La prima immagine di Gertrude appare dietro una grata, è una monaca ritta in piedi che mostra venticinque anni, bella di una bellezza "scomposta", sfiorita. Gli occhi sembrano nascondersi e contemporaneamente chiedere affetto, pietà, e lasciano trapelare un odio antico e represso. I lineamenti e i movimenti del volto rivelano qualcosa di segreto, di misterioso.

"Dalla benda usciva sur una tempia una cicchettina di neri capelli; così che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nelle cerimonia solenne della vestizione."

Ultimogenita di una ricca famiglia, "La nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto di decidere se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza".

Non le fu mai detto: devi farti monaca, ma le bambole con cui giocava erano vestite da monache. Lei si suggeriva che comunque avrebbe dovuto essere la prima del monastero, perchè "il sangue si porta per tutto dove si va." Il padre, che Manzoni indica come il principe, è assolutamente determinato a vedere per la figlia un futuro di monaca.

A sei anni, Gertrude entra nel monastero di Monza per la sua educazione, ma ancor più per essere istradata alla vocazione scelta appositamente per lei. Negli anni che seguono si affacciano alla sua mente immagini di nozze, conversazioni, villeggiature, matrimoni, e parla in modo entusiastico dei suoi destini futuri quale badessa, questo accade perchè vive ancora la convizione che comunque nessuno le avrebbe potuto "mettere il velo in capo senza il suo consenso".

Gertrude non è consapevole del fatto che questo consenso avrebbe dovuto negarlo al padre, al principe. Poco alla volta prende corpo un forte contrasto fra due volotà: quella in divenire della figlia che timidamente deve imporre una sua identità e quella ferrea del padre.

"S'inoltrava, Gertrude, in quell'età così critica, nella quale par che entri nell'animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte le inclinazioni, tutte le idee, e qualche volta le trasforma o le rivolge a un corso impreveduto."

Con queste parole Manzoni descrive, racconta quella oggi noi possiamo catalogare come una biologica crisi di identità dell'adolescenza.

Poco alla volta, ma può ancora dir di no, si decide a chiedere di essere sottoposta all'esame della vocazione. Dalla domanda all'esame deve trascorrere almeno un anno e prima dell'esame Gertrude deve vivere per un mese fuori dal monastero, nel mondo, in quel mondo dove sono presenti due schieramenti: da una parte il principe e la famiglia, ben certi di quello che sarebbe accaduto, e dall'altra parte questa adolescente sempre più isolata nei suoi timidi tentativi di opposizione.

Dopo lungo pensare decide, assieme alle compagne del monastero, di mandare una lettera al padre in cui scrive: "Non pretendo altro chedi non essere sacrificata." La risposta non venne mai. L'interesse adolescenziale per un paggio viene scoperto da una cameriera la quale ne mette subito a conoscenza il padre e Gertrude non può non sentirsi colpevole dell'ira che questo fatto suscita. Il senso di colpa è tanto violento che pur di liberarsene arriva a desiderare il monastero. Scrive al padre una lettera in cui implora il suo perdono, "mostrandosi indeterminatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere a chi questo perdono doveva accordare".

Viene perdonata e quale premio le è data la possibilità di conoscere anzichè il padre severo il padre amoroso. Il principe avrà modo di commentare: " ciò che noi desideravamo per il suo bene, l'ha voluto lei spontaneamente. E' risoluta, ".

A questo punto Gertrude stessa ha l'onore di decidere il giorno in cui recarsi, insieme alla famiglia, dalla badessa per chiederle il permesso di entrare in monastero, viene anche fissato il giorno dell'esame della vocazione. A questo punto iniziano per Gertrude grandi festeggiamenti e in questo periodo è chiamata la sposina, così infatti a quei tempi erano chiamate le giovani monacande. Parenti e amici festeggiano la sposina che ben presto diventa l'idolo, il trastullo, la vittima della situazione.

L'esame di vocazione viene a confermare un ennesimo consenso da parte di Gertrude. Infatti, all'ecclesiastico che doveva conoscere la sua vera volontà per impedire che le venisse usata violenza in nessun modo, l'infelice risponde che si fa monaca liberamente per servire Dio e fuggire i pericoli del mondo.

Fra il terrore del padre e il terrore del chiostro vince il primo. Questo ennesimo consenso è commentato dal Manzoni stesso con queste parole: "L'esaminatore fu prima stanco di interrogare che la sventurata di mentire......"

Gertrude superò l'esame. E si trasformò in una donna che " idolatrava e insieme piangeva la sua bellezza, che deplorava una gioventù destinata a struggersi in un lento martirio e che invidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente godersi nel mondo quei doni. "

Tra i privilegi che le erano stati concessi c'era anche quello di abitare un quartiere a parte; questa zona era contigua ad una casa abitata da un " giovine, scellerato di professione", il quale " allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose........."

 

 

 

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