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La famiglia dell'adolescente con D.C.A.:
l'acquisizione dell'identità sessuale
Dott. Carlo Trecarichi Scavuzzo
Il problema dell'acquisizione dell'identità sessuale da parte dell'adolescente, è compreso nell'ampio ambito delle profonde trasformazioni che, nell'età adolescenziale, non coinvolgono soltanto lo sviluppo individuale dell'adolescente, ma anche lo sviluppo di tutto il sistema familiare. Una duplice crescita, dove una non può avvenire senza l'altra.
Oltre ai fattori individuali e familiari, un'altra componente specifica nel caso dei disturbi del comportamento alimentare (D.C.A.), è quella dei modelli culturali e sociali che propongono il mito della magrezza (Onnis, 1994; Onnis e coll., 2000). Se si vuole affrontare la difficoltà di acquisizione dell'identità sessuale nei D.C.A. non si può prescindere da problematiche multidimensionali e complesse.
Nei D.C.A., in età adolescenziale, sono almeno tre i fattori che ne influenzano l'insorgenza:
•  la cultura del mondo occidentale, caratterizzata da una società dei consumi e del benessere;
•  le caratteristiche individuali con gli aspetti psicodinamici specifici di ogni individuo, soprattutto nell'età di insorgenza del sintomo: l'adolescenza;
•  i tipici aspetti relazionali del sistema familiare di appartenenza.
La famiglia è, per ogni individuo, il luogo primario di apprendimento. È il luogo dove si sperimentano e si sviluppano, con esiti individuali diversi, sia i movimenti di individuazione e di differenziazione, sia i processi di acquisizione dell'identità. È dunque possibile che, nel nucleo familiare, possano insorgere difficoltà relazionali ed emozionali capaci, di legare in un circolo vizioso, il paziente ed il suo sintomo, al sistema familiare. Appare doveroso precisare che, questo legame non è la causa dei D.C.A., e quindi non rafforzare l'idea colpevolizzante della famiglia come patogena.
Gli studi di Minuchin e coll. (1980), relativi ai modelli interattivi familiari, vengono confermati da una serie di ricerche presso il Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università di Roma (Onnis, 1985, 1988; Onnis e coll., 1999).
Questa serie di studi, ha evidenziato tipici aspetti relazionali, che si possono racchiudere in quattro categorie: l'invischiamento, l'iperprotettività, l'evitamento del conflitto e la rigidità .
L'invischiamento consiste nella tendenza di ciascun membro di queste famiglie a manifestare intrusioni nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni e nelle comunicazioni degli altri, i confini tra le generazioni e tra gli individui sono molto labili, con una conseguente confusione di funzioni e ruoli. L'autonomia e gli spazi personali sono quasi inesisteni. Sotto il profilo individuale, tutto ciò limita gravemente e rende talvolta impossibile lo sviluppo dei processi di autonomizzazione e di individuazione. Si comprende allora come questa scarsa o inesistene delimitazione di confini tra generazioni e tra individui, all'interno di un “corpo familiare” che sembra presentarsi come un'amalgama indifferenziato, giustifichi quel bisogno costante di controllo dei propri spazi interni che, secondo alcuni Autori (Boris, 1984) ad orientamento psicodinamico, caratterizza il vissuto delle anoressiche: una esigenza di non lasciarsi invadere da alementi esterni che trova, nel rifiuto del cibo, l'estrema, ambivalente difesa. E dia, al tempo stesso, ragione delle difficoltà di assunzione di quei tratti di identità personale e sessuale che l'età puberale coporterebbe (Onnis, 2001).
L'iperprottetività si rivela nell'alto grado di preoccupazione, di sollecitudine e di interesse reciproco manifestato da tutti i membri della famiglia. Atteggiamenti di tipo protettivo sono costantemente sollecitati ed offerti. In particolare, quando il paziente designato mette in atto un comportametno sintomatico, l'intera famiglia si mobilita per curarlo e per proteggerlo; essa nasconde spesso, in questo movimento e in questo processo, molti conflitti familiari. Circolarmente, dunque, la malattia del paziente ha una funzione protettiva sul sistema familiare (Onnis, 2001).
L'evitamento del conflitto si manifesta nel fatto che tutti i membri della famiglia cooperano con tutta una serie di meccanismi di evitamento, a nascondere il disaccordo, in modo che rimanga latente e non esploda mai apertamente. Ogni qualvolta la tensione della famiglia sale e diviene minacciosa, qualcuno dei membri, e spesso il paziente, interviene, richiamando su di sé l'attenzione e la preoccupazione degli altri. Sotto il profilo individuale, ciò contribuisce a creare quei legami di “protezione delegata” di cui Stierlin (1978) parla così chiaramente nei suoi lavori. Ma naturalmente la difficoltà di affrontare le divergenze impedisce anche una chiara definizione delle relazioni e rallenta od ostacola ulteriormente i processi di differenziazione e di sviluppo di identità personali ben definite (Onnis, 2001).
La rigidità , infine, è la caratteristica più tipica dei sistemi patologici e si manifesta, come ridondanza, nella ripetizione stereotipata degli stessi modelli di interazione. Ma, in queste famiglie, essa si esprime più specificamente nella tendenza tipica a presentarsi come famiglie molto unite ed armoniose, in cui non esistono altri problemi all'infuori della malattia del paziente. Se qualche contrasto si manifesta tra i genitori, esso riguarda sempre e soltanto la gestione delle difficoltà alimentari della paziente (Onnis, 2001).
Nelle sopracitate dinamiche relazionali, tra paziente e famiglia, il sintomo anoressico, quali significati può assumere?
Può assumere il significato di una protesta estremizzata. Con il rifiuto del cibo, la paziente, tenta disperatamente di ritagliarsi una sfera di autonomia e di differenziazione all'interno di un nucleo familiare che apparentemente sembra non permettere un'individuazione personale (“Sciopero della fame non dichiarato”; Selvini Palazzoli; 1988). Questa manifestazione di dissenso da parte della paziente, purtroppo non arriva alla verbalizzazione del conflitto, rimane nell'area del non-detto; come se la paziente fosse costretta ad uniformarsi alle dinamiche familiari che ne impediscono l'esplicitazione di ogni sorta di conflitto.
Paradossalmente si osserva come il sintomo anoressico tenti di introdurre delle conflittualità all'interno del nucleo familiare per provocarne delle modificazioni, rigidamente impedite. In tal modo si riesce, attraverso il problema del cibo, a relegare le tensioni ad un aspetto più “infantile” (il cibo), sicuramente più rassicurante e gestibile. Questo fallimento del processo di separazione/individuazione, che rende difficile l'acquisizione di una più matura identità di genere, viene indicato da alcuni Autori ad indirizzo psicodinamico (Sugarman e Kurash, 1982), come alla base del disturbo anoressico.
Prendendo in considerazione le famiglie dei pazienti con D.C.A., spesso si riscontrano delle profonde aree conflittuali nelle relazioni coniugali. Queste insoddisfazioni reciproche, da parte dei coniugi, spesso non vengono verbalizzate, non dichiarate e quindi non affrontate (“lo stallo di coppia” come lo definisce la Selvini Palazzoli; 1988). In queste situazioni di “stallo di coppia”, possono riscontrarsi delle alleanze transegenerazionali tra la persona sofferente di D.C.A. ed uno dei genitori, coalizzati contro l'altro. In questo caso, la paziente diviene, in modo inconscio ed a sua insaputa, uno strumento di lotta coniugale; cioè, avviene quello che la Selvini Palazzoli definisce il “gioco di istigazione”.
Questo “gioco” perverso di coalizioni, rende molto difficili i processi di identificazione e di acquisizione dell'identità sessuale da parte dell'adolescente anoressica.
Due distinte tipologie di coalizioni possono osservarsi all'interno del nucleo familiare:
la anoressia di tipo A , in cui l'anoressica è coalizzata con una madre debole e svalutata, contro un padre vissuto come prevaricatore;
la anoressia di tipo B , in cui l'anoressica è alleata con un padre idealizzato (e che a sua volta la fa sentire come la “donna ideale”), contro una madre che appare aggressiva ed ostile.
Nonostante il differente segno della coalizione transegenerazionale, in entrambi i casi il modello femminile proposto dalla madre è, per l'adolescente anoressica, difficile da accettare, così che non può essere assunto come base di identificazione per l'acquisizione di una chiara identità di genere. Nell'anoressia di tipo B, inoltre, la negazione di un corpo sessuato ha anche il significato di una implicita distanza che la figlia, con l'evolvere dell'adolescenza, tenta di frapporre fra sé e la figura paterna idealizzata (Selvini Palazzoli, 1998).
Riguardo al rapporto ambivalente madre-figlia nelle due tipologie sopracitate, alcuni Autori ad orientamento psicoanalitico, interpretano l'altalena di restrizioni alimentari, crisi bulimiche, condotte espulsive, come la rappresentazione simbolica di un alternarsi di vissuti di rifiuto verso “l'oggetto madre” e di bisogni fusionali (Sprince, 1984).
La crisi anoressica: drammaticamente segnata e dal rifiuto del cibo e dal negarsi come immagine femminile sessuata, spesso coincide con la delusione che l'adolescente prova quando, più o meno consciamente, avverte di essere stata “stumento” più che persona. Nascono, allora, anche da questi complessi legami familiari, i sentimenti di inadeguatezza, di frustrazione, di non-valore, che spesso caratterizzano, sotto una maschera di efficienza, il vissuto personale dell'anoressica e ripropongono inevitabilmente bisogni di dipendenza” (Onnis, 2001).
Riguardo l'acquisizione dell'identità di genere nel periodo adolescenziale E. Erikson (1968) ha affermato: “si costituisce a partire dalla disposizione innata al genere e dai segnali di genere provenienti dai primissini tempi della vita post-natale, con tutto il processo di identificazione che essi comportano, ma che , nella fase adolescenziale, è improvvisamente accelerata dalla spinta biologica, dovuta alle specifiche variazioni ormonali, e dalla esperienza psicologica del soggetto che si sperimenta come individuo appartenente ad un determinato sesso in rapporto ad un individuo di sesso opposto”.
Il confronto con i ruoli di genere e l'identità sessuale, che si dovrebbero acquisire durante l'adolescenza, vengono rinviati o addirittura impediti, in alcuni casi, dalla paziente anoressica che si rifugia nella paura di un corpo che cresce .
Così a livello socio-culturale, l'invito contraddittorio alla magrezza e all'efficienza in una società di consumi, sembrano incoraggiare un'immagine virilizzata del corpo femminile; a livello psicodinamico individuale, l'ambivalenza verso la figura materna desiderata e al tempo stesso rifiutata perché deludente, non favorisce l'assunzione di una chiara identità di genere; a livello familiare, un'atmosfera emotiva dominata dal timore dei conflitti e dalla paura della rottura, impedisce i processi di differenziazione a cominciare da quella di base, concernente i ruoli sessuali (Onnis, 2001).
Nel dimagrimento che va a cancellare le curve femminili, segnale delle trasformazioni adolescenziali, Caillè (1988) segnala come spesso l'idea di assumere una sessualità femminile e di esserne cosciente nel rapporto con i ragazzi è insostenibile; l'anoressica insegue talvolta la fantasia di essere un maschio, o di essere comunque asessuata, nascondendo i timori legati all'inesorabile sviluppo verso lo stadio di donna adulta.
I tempi evolutivi allungati verso le tappe della differenziazione sessuale nell'anoressica, sono documentati anche da Raboch e Faltus (1991), i quali evidenziano che l'incontro con la sessualità risulta in genere tardivo, così come significativamente scarso appare il grado di soddisfazione legato alla sessualità, tanto che perfino l'autoerotismo, in alcuni casi, sembra essere vissuto in termini di –strumento atto al consumo di calorie-.
Wiederman e coll. (1984) indicano che nel rifiuto del cibo e nella negazione del corpo, viene rappresentato un tentativo di non affrontare le problematiche della sessualità ed una conseguente scarsa propensione ad intraprendere relazioni sentimentali significative.
I dati di questa ricerca sull'identità sessuale delle pazienti con D.C.A. (in particolare riferimento all'anoressia), si possono fare confluire in una più generale “paura di crescere”, la quale rende difficile il confronto con i ruoli di genere in vista di un'acquisizione di una chiara identità sessuale.
Le radici psichiche dell'anoressia rintracciabili in dinamiche familiari evitanti e resistenti al cambiamento, confermano i numerosi dati presenti in letteratura sui miglioramenti più soddisfacenti e di più lunga durata nel trattamento dei DCA quando abbinato ad un lavoro psicoterapeutico.
Bibliografia
Boris H.N.: The problem of anorexia nervosa. International Journal of Psychoanalysis, 65, pp315-322, 1984.
Caillè P.: L'anoressia mentale come “doppio-messaggio”. In: Onnis L. (a cura di) Famiglia e malattia psicosomatica: l'orientamento sistemico, NIS, Roma, 1988.
Erikson E.: Gioventù e crisi di identità. Giunti, Firenze, 1968.
Minuchin S., Rosman B., Baker L.: Famiglie psicosomatiche. Astrolabio, Roma, 1978.
Onnis L.: Corpo e contesto: la terapia familiare nei disturbi psicosomatici. NIS, Roma, 1985.
Onnis L. (a cura di): Famiglia e malattia psicosomatica: l'orientamento sistemico. NIS, Roma, 1988.
Onnis L.: Anorexia nervosa at the crossroads of three cultures: adolescence, family and society: the systemic view-point. In: Advancements in diagnosis and treatment of anorexia, bulimia and obesity, Proceeding Book of 2 nd Rome Symposium on Eating disorders, Promo Leader Press, Firenze, 1994.
Onnis L., Mulé A., Antenucci M., Giannuzzi M., Giovannetti D., Ierardi S., Putzolu M.A.: Il problema del follow-up nell'anoressia. Psicobiettivo, vol. 19, n. 3 pp. 115-128, 1999.
Onnis L., Pauer Modesti C., Antenucci M., Bernardini M., Di Gregorio L., Giannuzzi M., Giovannetti D.: Anoressia e bulimia: aspetti epidemiologici e socio-culturali di un fenomeno diffuso. Psicobiettivo, vol. 20, n. 1, pp. 123-138, 2000.
Onnis L.: Il problema dell'identità sessuale nell'adolescente con DCA: una prospettiva sistemico-relazionale. In: Sessualità e alimentazione: biologia-psicologia-cultura. CIC Edizioni Internazionali, Roma, pp. 58-68, 2001.
Raboch J., Faltus F.: sexuality of women with anorexia nervosa. Acta Psychiatrica Scandinava, 84, pp. 9-12, 1991.
Selvini Palazzoli M.: Lanoressia mentale: una sindrome della società dei consumi. In: Onnis L. (a cura di): Famiglia e malattia psicosomatica. NIS, Roma, 1988.
Selvini Palazzoli M., Crillo S., Selvini M., Sorrentino A.M.: Ragazze anoressiche e bulimiche. Cortina, Milano, 1998.
Sprince M.P.: Early psychic disturbances in anorexic and bulimic patients as reflected in the psychoanalitic process. Journal of Child Psychotherapy, n. 10, pp. 199-215, 1984.
Stierlin H.: La famiglia e i disturbi psicosociali. Boringhieri, Torino, 1987.
Sugarman A., Kurash C.: The body as transitional object in bulimia. International Journal of Eating Disorders, 1, pp. 57-67, 1982.
Wiederman M., Pryor T., Morgan C.: The sexual experience of women, diagnosed with anorexia nervosa or bulimia nervosa. International Journal of Eating Disorders, vol. 19, n. 2, pp. 109-118, 1994.

 

 

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