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articoli dello staff di N.A.Di.R._presentazione

 

Un'esperienza gruppale presso l'Associazione Medica N.A.DI.R.:
GRUPPO PER GENITORI DI PAZIENTI AFFETTI DA D.C.A.
(DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE).
Carlo Trecarichi Scavuzzo
Questo articolo trae origine da un'esperienza clinica, fatta con un gruppo di genitori di pazienti affetti da D.C.A., presso l'Associazione Medica N.A.DI.R.; il gruppo è durato circa due anni.
Alla luce dell'esperienza e di quanto emerso in questo gruppo, e dopo una serie di riflessioni da parte dello Staff medico del N.A.DI.R., sono pronto ad esporre alcuni dati e considerazioni, emerse da questa esperienza gruppale.
1. Descrizione del gruppo
Questo gruppo ha avuto origine nel novembre del 2002 ed ha avuto una sua fine fisiologica nel luglio del 2004.
Allo scopo di trattare, in modo più completo possibile i D.C.A., è nata l'idea prima, e la messa in opera dopo, di un gruppo di sostegno per i genitori dei pazienti che afferiscono presso il Centro.
Questo, per dare supporto e per prendere in carico l'intero nucleo familiare, nucleo soggetto a possibili momenti di rottura e di crisi, perché un processo di guarigione produce delle modificazioni, modificazioni a carico di tutto il sistema familiare.
Sappiamo che, spesso, il sintomo della figlia funge da catalizzatore per la coppia genitoriale, e serve a creare un'alleanza nei genitori.
A questo punto, vorrei riprendere una definizione di Onnis (2001), relativa alla famiglia, che a mio parere, definisce molto bene il sistema familiare, soprattutto nei casi di D.C.A.:
“La famiglia è, per ogni individuo, il luogo primario di apprendimento. È il luogo dove si sperimentano e si sviluppano, con esiti individuali diversi, sia i movimenti di individuazione e di differenziazione, sia i processi di acquisizione dell'identità. È dunque possibile che, nel nucleo familiare, possano insorgere difficoltà relazionali ed emozionali capaci, di legare in un circolo vizioso, il paziente ed il suo sintomo, al sistema familiare”.
Appare doveroso precisare che, questo legame non è la causa dei D.C.A., e quindi non vi è nessuna intenzione di sostenere l'idea colpevolizzante della famiglia come patogena.
Con il rifiuto del cibo, la paziente, tenta disperatamente di ritagliarsi una sfera di autonomia e di differenziazione all'interno di un nucleo familiare che apparentemente sembra non permettere un'individuazione personale (“Sciopero della fame non dichiarato”; Selvini Palazzoli; 1988). Questa manifestazione di dissenso da parte della paziente, purtroppo non arriva alla verbalizzazione del conflitto, rimane nell'area del non-detto; come se la paziente fosse costretta ad uniformarsi alle dinamiche familiari che impediscono l'esplicitazione di ogni sorta di conflitto.
Paradossalmente si osserva come il sintomo anoressico tenti di introdurre delle conflittualità all'interno del nucleo familiare per provocarne delle modificazioni, rigidamente impedite. In tal modo si riesce, attraverso il problema del cibo, a relegare le tensioni ad un aspetto più “infantile” (il cibo), sicuramente più rassicurante e gestibile. Questo fallimento del processo di separazione/individuazione, che rende difficile l'acquisizione di una più matura identità di genere, viene indicato da alcuni Autori ad indirizzo psicodinamico (Sugarman e Kurash, 1982), come alla base del disturbo anoressico.
Con queste premesse teoriche di partenza, proverò a descrivere come è nato il gruppo per i genitori di pazienti affetti da D.C.A .
Ci siamo resi conto che, spesso ci si preoccupa soltanto (o prevalentemente) delle figlie che portano la sintomatologia, e non delle sofferenze dei genitori.
Si è pensato di creare uno “spazio”, un “luogo” di ascolto, dove i genitori possano esprimere le loro emozioni, i loro vissuti, luogo dove vengono accolti e compresi, e soprattutto, non accusati, non colpevolizzati per quello che è successo alla loro famiglia.
Un gruppo che possa permettere loro di esprimere, confrontare ed elaborare i loro vissuti di ansia, rabbia, frustrazione, impotenza e di colpa.
Uno spazio comune, condiviso con altre persone caratterizzate da simili problematiche, per dar loro la possibilità di uscire dall'anonimato di una sofferenza confinata all'interno della famiglia, perché ci si vergogna.
Uno spazio che permetta loro di rendersi conto che altre persone vivono situazioni simili, e quindi, dare loro la possibilità di confrontare e scambiare informazioni ed esperienze.
Come dice Arendt (1958),: “ Gli uomini in quanto vivono , si muovono e agiscono in questo mondo, possono fare esperienze significative solo quando possono parlare e attribuire reciprocamente un senso allo loro parole… ”.
Ecco l'esigenza di un gruppo, “ Gruppo che ancora prima di esistere nella realtà, si costituisce come oggetto immaginario sia nella mente del conduttore sia in quella dei partecipanti ”; “ Così il gruppo, può essere utilizzato dai suoi membri come spazio contenitore dei loro contenuti psichici trasformati in rappresentazioni, fantasmi ancora non pensati ” (Corbella, 2003).
È doveroso a questo punto, premettere che il gruppo in questione, non è inteso come un gruppo terapeutico, ma bensì come un gruppo di sostegno (anche se spesso, durante gli incontri, questo confine si è mostrato abbastanza labile). È importante precisare questo fin dall'inizio, per capire il taglio dato al gruppo, espressamente esplicitato ai genitori.
Da un'indagine preliminare, ci siamo resi conto che la maggior parte dei genitori non avrebbe aderito ad un gruppo terapeutico per loro stessi, in quanto è emerso il timore di mettersi in discussione (come genitori, come coniugi, come persone), mentre un gruppo di sostegno, dove poter ricevere delle informazioni più pratiche sulla gestione della figlia, e soprattutto un gruppo che è d'aiuto alla terapia della figlia, è stato accettato di buon grado.
Il lavoro con i genitori, è un lavoro sui genitori. Infatti, per non creare nessuna sorta di ambiguità, abbiamo deciso (e verbalizzato) che le persone che si occupano dei genitori non saranno i terapeuti curanti delle figlie, questo, proprio per evitare ogni sorta di manipolazione da parte di un nucleo familiare estremamente manipolativo.
Il setting sotteso al gruppo è il seguente:
•  gruppo aperto (max 10 persone),
•  gruppo inizialmente monotematico (la patologia della figlia),
•  gruppo serale della durata di 90 minuti,
•  incontri quindicinali,
•  obbligo di avvisare di un'eventuale assenza,
•  pagamento ad ogni incontro (non è previsto il pagamento in caso di assenza di un partecipante),
•  la presenza di 2 conduttori (presenza di breve durata, infatti, a causa del numero ristretto iniziale di partecipanti [5], mi sono ritrovato dopo due mesi ad essere l'unico conduttore del gruppo),
•  regola della riservatezza su ciò che emerge nel gruppo.
La richiesta espressa ai genitori, è stata la seguente: “La malattia di vostra figlia vi ha colpito come una tragedia, ed ha aperto una ferita in voi, ferita che ha bisogno di essere curata”. “Si presuppone che confrontarsi con altre persone, simili per problematiche, vi possa essere d'aiuto”.
Il confronto con altre persone con affini problematiche, apre il presupposto di un confronto simile a quello che avviene nei gruppi di Auto Aiuto. Modalità e tecnica spesso utilizzata all'interno di questo gruppo di supporto, tramite la figura del terapeuta-facilitatore.
A questo punto, mi sembra doveroso aprire una breve parentesi sui gruppi di auto-aiuto, che per alcune caratteristiche, si avvicinano molto al metodo di lavoro adoperato all'interno del gruppo dei genitori.
Lo scopo essenziale del gruppo di auto mutuo aiuto è di dare, a persone che vivono in situazioni simili, l'opportunità di condividere le loro esperienze e di aiutarsi a mostrare l'uno l'altro come affrontare i problemi comuni. L'auto aiuto è quindi un mezzo valido per assicurare ai partecipanti del gruppo sostegno emotivo. Vediamo infatti che all'interno del gruppo ciascuno sforzo individuale teso alla risoluzione di un proprio problema diventa contemporaneamente sforzo per risolvere un problema comune. Ciascuno riceve aiuto e contemporaneamente dà aiuto. Si verifica una sorta di effetto per cui chi dà aiuto, in realtà ne riceve e chi cerca di modificare una persona, in realtà lavora su se stesso nel rapporto con l'altro.
Il fatto che poi i partecipanti condividano il medesimo problema permette che l'aiuto scambiato sia sentito come maggiormente efficace. Si acquisiscono così specifiche informazioni riguardanti soluzioni pratiche apprese dall'esperienza diretta, che di solito non sono ricavabili né dai libri, né dagli operatori professionali, né dalle istituzioni assistenziali.
Nel gruppo di auto-mutuo-aiuto si ascolta e si è ascoltati, senza pregiudizi, in un clima di reciproca disponibilità in cui si scoprono e si potenziano le proprie risorse interiori.
Il gruppo può essere una fonte per accrescere le possibilità di autodeterminare le proprie scelte di vita, migliorando l'autostima e il senso di autoefficacia, promovendo le reciproche potenzialità positive attraverso il coinvolgimento personale.
Gioca così un ruolo centrale la condivisione delle esperienze vissute che diventano strumento per "trasmettere forza all'altro".
L'auto mutuo aiuto è uno strumento che trasforma le singole esperienze in risorse per tutti.
Al di là della metodologia di lavoro, simile a quella dei gruppi di auto-aiuto, il focus centrale, all'interno del gruppo dei genitori, è stato proprio quello relativo ai ruoli genitoriali.
Sappiamo bene che nei D.C.A., “qualcosa”, inerente il processo di separazione (spesso il padre), è stato deficitario, impedendo al soggetto di uscire dal rapporto simbiotico con la madre.
Nel lavoro con i genitori, molta importanza è stata data alla ridefinizione della funzione paterna e materna, e del loro status all'interno della dinamica familiare.
Possiamo sintetizzare gli scopi inerenti al lavoro con il gruppo dei genitori in questo modo:
•  creazione di un gruppo omogeneo (per la patologia della figlia)
•  poter esprime i propri vissuti in un contenitore sicuro;
•  confrontarsi con altre persone (principio dell'auto-aiuto);
•  porre dei limiti alla loro intrusione nel mondo della figlia (contenimento e rettifica dei ruoli familiari);
•  il cercare di dar senso e comprendere il malessere della figlia;
•  la facilitazione e la presa di coscienza di determinate modalità disfunzionali di interazione;
•  la rettifica di alcune posizioni disfunzionali genitoriali;
•  il preparare la famiglia ad una evoluzione, di pari passo a quella della figlia (per far si che la famiglia non si trovi impreparata ad una evoluzione da parte della figlia), perché non metta in moto meccanismi regressivanti .
 
Per quanto riguarda l'omogeneità del gruppo, vorrei riprendere ciò che ha detto la Corbella (2004) al riguardo: visto che i gruppi “pensati” come omogenei sono caratterizzati dalla facilitazione nei confronti dei movimenti di fusione-condivisione a tutti i possibili livelli e da una maggior lentezza e resistenza nei confronti dei movimenti di separazione-individuazione. L'evidenziata omogeneità nei colloqui di preparazione, utile a motivare la partecipazione al lavoro di gruppo, stimolerà fin dall'inizio, almeno a livello cosciente, l'emergere del senso di una comune appartenenza e processi di reciproca identificazione fra i membri. Nell'immaginario collettivo prevarrà la fantasia del gruppo come un tutto indifferenziato ma proprio per questo immediatamente e naturalmente recettivo rispetto ai bisogni condivisi. Questa situazione iniziale, se da una parte può rendere meno difficile il parlare di sé - perché proprio l'aspetto che fa sentire isolati, diversi ed esclusi (sia questo una malattia, uno stato sociale od esistenziale vissuto come emarginante, o un trauma subito) sarà in questo particolare contesto l'elemento aggregante - dall'altra rischia di creare una situazione di stallo, un embrassons-nous mortifero dove chi tenta di differenziarsi viene sentito come un potenziale persecutore e a volte reattivamente trasformato in capro espiatorio.
2. Caratteristiche emerse dal gruppo.
Prima di descrivere le dinamiche, che maggiormente hanno caratterizzato il gruppo genitori, nei diversi momenti della sua esistenza, vorrei accennare ad alcune caratteristiche prevalenti, che si sono manifestate all'interno del gruppo. Questo, perché si sono evidenziati molti aspetti tipici, di sistemi familiari con un membro che presenta una sindrome da D.C.A., ricorrentemente descritti in letteratura.
I genitori hanno spesso manifestato sentimenti di colpa e di inadeguatezza verso le figlie e verso il malessere di esse. I genitori hanno espresso le aspettative che hanno avuto verso le figlie; aspettative infrante. Non sono state le figlie che i genitori avrebbero voluto. I genitori hanno espresso il loro vissuto di non essersi sentiti riconosciuti da parte delle loro figlie; proprio come sperimentano le figlie nei confronti dei genitori. Si è notato come, spesso, la figlia rappresenti un prolungamento narcisistico della madre, e come i padri manifestino comportamenti seduttivi nei confronti della figlia.
Nel gruppo dei genitori, si sono presentati, in modo appariscente, quattro tipici aspetti relazionali (evidenziati dagli studi di Minuchin e coll. [1980] e poi confermati da una serie di ricerche presso il Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università di Roma [Onnis, 1985, 1988; Onnis e coll., 1999]), che si possono racchiudere in quattro tipologie: l'invischiamento , l'iperprotettività , l'evitamento del conflitto e la rigidità .
L'invischiamento consiste nella tendenza di ciascun membro di queste famiglie a manifestare intrusioni nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni e nelle comunicazioni degli altri, i confini tra le generazioni e tra gli individui sono molto labili, con una conseguente confusione di funzioni e ruoli. L'autonomia e gli spazi personali sono quasi inesistenti. Sotto il profilo individuale, tutto ciò limita gravemente e rende talvolta impossibile lo sviluppo dei processi di autonomizzazione e di individuazione. Si comprende allora come questa scarsa o inesistente delimitazione di confini tra generazioni e tra individui, all'interno di un “corpo familiare” che sembra presentarsi come un'amalgama indifferenziato, giustifichi quel bisogno costante di controllo dei propri spazi interni che, secondo alcuni Autori (Boris, 1984) ad orientamento psicodinamico, caratterizza il vissuto delle anoressiche: una esigenza di non lasciarsi invadere da elementi esterni che trova, nel rifiuto del cibo, l'estrema, ambivalente difesa. E dia, al tempo stesso, ragione delle difficoltà di assunzione di quei tratti di identità personale e sessuale che l'età puberale comporterebbe” (Onnis, 2001).
L'iperprottetività si rivela nell'alto grado di preoccupazione, di sollecitudine e di interesse reciproco manifestato da tutti i membri della famiglia. Atteggiamenti di tipo protettivo sono costantemente sollecitati ed offerti. In particolare, quando il paziente designato mette in atto un comportamento sintomatico, l'intera famiglia si mobilita per curarlo e per proteggerlo; essa nasconde spesso, in questo movimento e in questo processo, molti conflitti familiari. Circolarmente, dunque, la malattia del paziente ha una funzione protettiva sul sistema familiare” (Onnis, 2001).
L'evitamento del conflitto, si manifesta nel fatto che tutti i membri della famiglia cooperano con tutta una serie di meccanismi di evitamento, a nascondere il disaccordo, in modo che rimanga latente e non esploda mai apertamente. Ogni qualvolta la tensione della famiglia sale e diviene minacciosa, qualcuno dei membri, e spesso il paziente, interviene, richiamando su di sé l'attenzione e la preoccupazione degli altri. Sotto il profilo individuale, ciò contribuisce a creare quei legami di “protezione delegata” di cui Stierlin (1978) parla così chiaramente nei suoi lavori. Ma naturalmente la difficoltà di affrontare le divergenze impedisce anche una chiara definizione delle relazioni e rallenta od ostacola ulteriormente i processi di differenziazione e di sviluppo di identità personali ben definite” (Onnis, 2001).
La rigidità , infine, è la caratteristica più tipica dei sistemi patologici e si manifesta, come ridondanza, nella ripetizione stereotipata degli stessi modelli di interazione. Ma, in queste famiglie, essa si esprime più specificamente nella tendenza tipica a presentarsi come famiglie molto unite ed armoniose, in cui non esistono altri problemi all'infuori della malattia del paziente. Se qualche contrasto si manifesta tra i genitori, esso riguarda sempre e soltanto la gestione delle difficoltà alimentari della paziente” (Onnis, 2001).
Ritornando alle dinamiche gruppali, emerse lungo il percorso del gruppo genitori, una, ha destato maggiormente il mio interesse.
Siccome il gruppo in questione è “aperto”, con nuovi inserimenti e con abbandoni da parte dei partecipanti, ho avuto modo di osservare come il “tempo” all'interno del gruppo si muova con un ritmo spiraliforme. I vissuti, le emozioni profonde, la dicotomia fusione-individuazione, continuano a riproporsi. “Cose” simili, che ogni volta si manifestano in modo differente, su piani diversi per i diversi membri del gruppo. Le nuove persone, vivono in modo differente questi accadimenti rispetto a chi li ha già sperimentati, la consapevolezza dei secondi aiuta il gruppo ad evolvere ed a lasciare spazio ad un pensiero più maturo e meno imbrigliato dal timore del nuovo.
Vi è la possibilità di sperimentare quello che Lo Verso e Papa (1995) hanno definito come “spazio senza”:
“ Lo spazio senza può essere rappresentato come il punto in cui l'asse mentale del passato, con le sue ferree e invisibili necessità, incontra l'asse del presente con i suoi vincoli ineludibili, ma anche con le sue potenzialità inesplorate. È in questo momento che è possibile riconoscere e svelare la ripetizione e l'agire coattivo, pur percependosi ancora vincolati e incatenati a esso; lo spazio senza è quindi il momento in cui non è ancora possibile progettare e costruire il futuro: all'idea di sbigottimento e di vergogna per il passato si associa quella di terrore per il futuro ”.
Nel gruppo si è manifestato quello che sostiene la Corbella (2003), ossia, questo “spazio senza” si presentifica anche nell'analisi individuale ma nel setting del gruppo assume una sua specificità, dal momento che non è attraversato contemporaneamente da tutti i componenti. Così chi nel gruppo ha già affrontato questa terra di nessuno, questo pericoloso terreno minato, potrà fungere da valida guida per chi si trova in questa impasse, diminuendone le ansie e le paure e permettendogli di provarsi in posizioni nuove e quindi di progettarsi un futuro che inevitabilmente modificherà anche il passato dal momento che situazioni nuove conducono anche a una ritrascrizione del ricordo in un differente contesto .
Altre dinamiche gruppali, che ho avuto modo di osservare più volte ed in occasioni differenti, sono gli assunti di base. Gli assunti di base, come Bion (1961) stesso li ha definiti: sono considerati l'espressione della “mentalità di gruppo” derivante dalla messa in comune di desideri e impulsi inconsci che implica l'aggregarsi automatico del gruppo in stati mentali collettivi, su basi esclusivamente emotive, non elaborate, che comportano schemi rigidi di reazione gruppale con massima perdita dell'identità individuale.
Essi sono:
1) assunto di base di Accoppiamento , caratterizzato dalla credenza collettiva inconsia che da un accoppiamento idealizzato possa avere origine una sorta di figura messianica da cui dipende la possibilità futura di soluzione di ogni problema attuale, in cui il gruppo si dibatte (questo A.B. si è presentato spesso quando all'interno del gruppo, a qualche partecipante, le “cose” evolvono a favore, e visto che è un gruppo che per alcuni versi potremmo definire monosintomatico, tutti gioiscono per la persona riconosciuta come portatrice di una problematica comune e condivisa);
2) assunto di base di Dipendenza , caratterizzato dal bisogno di avere un leader da cui dipendere in modo totale e da cui avere la soluzione di ogni problema e anche da cui ottenere la realizzazione dei bisogni e dei desideri (questo A.B. si è presentato all'inizio, alla nascita del gruppo, ed ogni qualvolta si è presentato qualche nuovo problema o l'inserimento di nuove persone all'interno del gruppo; il più delle volte si è declinato nel proiettare sul conduttore il loro bisogno di un leader onnipotente, che può essere considerato come una sorta di scoperta di dipendenza);
3) assunto di base di Attacco e fuga , caratterizzato dalla fantasia che vi sia la necessità di attaccare un ipotetico nemico, o fuggire da lui (questo A.B. si presentifica nel gruppo facendosi annunciare da una sensazione diffusa di mal-essere, e solitamente si è manifestato quando nelle figlie sono avvenute delle ricadute importanti o quando il gruppo non riusciva ad uscire da una situazione di impasse).
Un passaggio fondamentale avvenuto all'interno del gruppo, nell'arco della sua esistenza, è stato quello del passaggio dalla colpa alla responsabilità. I vissuti di colpa, da parte dei genitori, si sono manifestati fin da subito, e il gruppo è riuscito a rielaborare ed a digerire questi vissuti, fino al punto di riconoscere ed assumere un vissuto di responsabilità per la patologia della figlia e per alcune dinamiche familiari.
In questo si riconosce il fondamentale passaggio di crescita, avvenuto all'interno del gruppo genitori e di conseguenza questa crescita si è estesa a tutto il nucleo famigliare (non dimentichiamo che le figlie erano seguite individualmente presso il Centro, questo ha fatto si che si sia instaurata una sinergia di interventi, dettata dal progetto più ampio della presa in carico di tutto il nucleo familiare sofferente).
Infatti, se considerassimo la famiglia come un sistema, il guarire, il “crescere”:
•  Non comporta solo una crescita psico-fisica del soggetto affetto da DCA.
•  Ma comporta una crescita dell'intero “corpo familiare”;
•  e una crescita non può avvenire senza l'altra .
È per questo motivo che è estremamente utile poter lavorare con tutto il “corpo familiare”, per poter preparare la famiglia ad accettare e capire la spinta maturativa ed evoluzionistica del membro affetto da DCA
Questo, non perché la famiglia non voglia la guarigione, ma perché, per dinamiche inconsce, non è abbastanza matura per rinunciare ad una problematica che può avere la funzione di collante per il “corpo familiare” stesso.
Quando il “corpo familiare” riesce a mettersi in discussione, a capire ed a modificare i propri comportamenti (inconsci), allora si che ci sono le premesse per poter fare maturare il sintomo, il paziente affetto da DCA e tutto il “corpo familiare”.
Dott Carlo Trecarichi Scavuzzo
(Psicologo-Sessuologo)

 

BIBLIOGRAFIA:
Arendt H.: Vita activa . Tr. It. Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, ETAS S.p.A Milano, 1964.
Bion W.R.: Esperienze nei gruppi. Tr.it. Armando, Roma, 1971.
Boris H.N.: The problem of anorexia nervosa. International Journal of Psychoanalysis, 65, pp315-322, 1984.
Corbella S.: Storie e luoghi del gruppo. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003.
Corbella S.: Il gruppo omogeneo: la modulazione del noi. In attesa di pubblicazione, 2004.

 

articoli dello staff di N.A.Di.R._presentazione

 

 

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