N.A.Di.R.

Assoc. Medica Disturbi di Relazione

"associazione a carattere socio-sanitario  destinata  alla cura e alla prevenzione dei Disturbi del Comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità), inquadrabili nei Disturbi di Relazione, attraverso un'azione diretta sul territorio nazionale con allargamento nel Sud del Mondo attraverso missioni di interscambio "

 

Un vissuto di partecipazione intesa come avere e/o prendere parte acquisendo maggiore consapevolezza, maggiore controllo circa le decisioni e/o le alternative riguardanti la loro salute ( empowerment ).

Empowerment che non riguarda solo l'individuo, ma che deve obbligatoriamente impegnare anche la comunità di appartenenza ( empowerment comunitario ) in maniera equa, ossia permettendo a tutti gli individui, al di là di ogni discriminazione, di godere di pari opportunità orientate a migliorare e preservare la propria salute.

I Disturbi di Relazione di cui N.A.Di.R. si fa carico si inseriscono perfettamente in questo approccio orientato a promuovere la salute pubblica promulgato dall'OMS, sia a prevenzione che a cura.

Nasce l'idea del progetto della Comunità aperta su queste basi:

  1. concetto di salute e di promozione della salute secondo l'OMS
  2. la mancanza sul territorio di una comunità aperta che si vada ad inserire tra le strutture pubbliche e quelle private, andando ad integrare i trattamenti supportati dal sistema sanitario pubblico senza incorrere nelle difficoltà oggettivabili del privato (elevati costi a carico degli usufruitori)
  3. solo la comunità aperta può offrire l'ambiente atto a proporre un programma clinico sintonico al concetto di partecipatività individuale e collettiva e all'empowerment comunitario promossi dall'OMS

I disagi relazionali emergenti dal contesto sociale su individui predisposti tendono ad esprimersi denunciando una dinamica sociale altamente patogena, sintomatologicamente si possono evidenziare e manifestare attraverso: Disturbi del Comportamento Alimentare, dipendenze da cibo, da atteggiamenti autolesivi, da droghe ed alcool, disturbi depressivi, disturbi d'ansia, disturbi affettivi, attacchi di panico, disturbi della sfera sessuale, difficoltà comunicative e relazionali, integrazione interculturale.

La Comunità aperta agisce direttamente sul territorio e per il territorio. La sua azione è diretta a tutta la cittadinanza sia per quanto riguarda l'utenza che il volontariato.

Si fa portavoce delle esigenze dei singoli e dei gruppi, allargando il panorama informativo allo scopo di rendere partecipi, di passare conoscenze atte a responsabilizzare il singolo e il gruppo nell'atto di acquisire la libertà di essere ed esprimere sé stessi, nel proprio ed altrui rispetto, dando quindi la possibilità di avviare un processo di integrazione adeguato e soddisfacente al contesto sociale di cui sono parte

 

La proposta del progetto di Comunità aperta nasce da una sperimentazione nel contenitore ospedaliero (Osp. Maggiore – Div. di Endocrinologia - 1987) e passa attraverso la collocazione del progetto in ambulatorio privato. Si è percepita in questo modo la necessità di offrire un contenitore adeguato alle necessità dei Pazienti e alle direttive dell'OMS ed in sintonia con il concetto stesso di sperimentazione scientifica (verificabilità e ripetitività dei metodi e dei risultati).

Lo scopo primario è la proposta di un approccio multidisciplinare ai Disturbi Relazionali . Particolare esperienza è stata maturata nell'ambito del trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.).

Alla base del lavoro proposto si pone la RESPONSABILIZZAZIONE, la COGNIZIONE, l'acquisizione della CAPACITA' di effettuare delle SCELTE su base cognitiva, l'acquisizione di abilità atte a migliorare le capacità di interrelazione, gli STIMOLI e la RELAZIONE INTRA ed INTERPERSONALE.

L'esperienza ha portato a pensare che percorsi di trattamento standardizzati applicati indistintamente a tutti i soggetti disagiati con medesime problematiche non possano avere un'eguale efficacia per patologie multifattoriali e complesse come i DCA.

L'iter procedurale deve essere personalizzato e costantemente in evoluzione in base ai cambiamenti del soggetto e del suo contesto ambientale.

Il trattamento di questi disagi necessita di un'ambientazione specifica , nell'ambito della quale i soggetti possano essere trattati e nel contempo possano esprimere le loro disabilità in un contesto protetto e costantemente supervisionato. Occorre un'ambientazione stimolante e ricca di spunti vitali che possano abituare il soggetto ad affrontare il contesto sociale nel quale dovrà poi svolgere la propria vita, con la sicurezza di esserne in grado.

Un ambiente in grado di indurre l'individuo alla partecipazione , ed il sentirsi parte attiva di un'istituzione, il possedere gli obiettivi, le difficoltà gestionali, l'incontro/scontro con l'ambiente con il supporto del gruppo facente capo allo staff operativo altro non può che stimolare, riempire il vuoto psichico e rendere vitale il soggetto.

Che cosa permette la Comunità aperta ?

· Il vissuto di PARTECIPAZIONE ATTIVA

· La RESPONSABILIZZAZIONE del Paziente

· L'ALLENAMENTO alla VITA e alle DINAMICHE del GRUPPO

· Imparare a riconoscere e ad esprimere le EMOZIONI in un ambiente “protetto”

· L'AMPLIAMENTO della visuale del singolo

· Il passaggio di COGNIZIONI e ABILITA'

· La possibilità di AGIRE SUL TERRITORIO (prevenzione/cura)

Il rapporto con il mondo esterno aiuta:

· Prendere coscienza dell'altro

· Raccogliere feed-back positivi derivanti anche solo dal sentirsi partecipi

· Riempire il mondo interno in termini costruttivi e proiettivi verso l'esterno

· Allontanare il vissuto narcisistico di sofferenza caratterizzato dal pensiero ossessivo (cibo/corpo/dipendenza in genere)

La sperimentazione in ambiente comunitario:

· Ambiente-contenitore accogliente proposto in termini di COMUNITA' APERTA, più che di apparato clinico (pur mantenendo fermi i supporti clinici occorrenti)

· Possibilità di contenere i costi di gestione attraverso:

1. Le azioni di volontariato che possono sostenere il dispiego di forze operanti all'interno del progetto

2. Supporti economici derivanti dalle donazioni dei privati e/o degli Enti

· Possibilità di accogliere una maggiore fascia di interlocutori (prevenzione - trattamento) agendo sul territorio

· Possibilità di interazione con apparati associativi operanti nel territorio

Lo staff operativo deve:

· Osservare individualmente un setting (insieme di regole) preciso e codificato

· Mostrarsi al Paziente in maniera compatta e solida per contrastare le inevitabili manipolazioni messe in opera dalla patologia

· Allargare il setting abbracciando le attività svolte all'interno del contenitore associativo (setting allargato)

Il setting allargato permette:

· Una migliore osservazione del Paziente nel processo di interazione

· Facilita la diagnosi

· Favorisce l'intervento terapeutico

· Implica un impegno costante dello staff: osservazione, supervisione, interrelazione con il singolo e con il gruppo a proposito delle dinamiche interattive e del singolo e del gruppo

IL CONTENITORE:

· Il programma necessita di un'AMBIENTAZIONE SPECIFICA che induca i Pazienti a vivere la COMUNITA' e non l'asetticità del contenitore medico

· Anche l'approccio prettamente internistico (indispensabile) può essere proposto nel rispetto della possibilità di rendere partecipi i Pazienti, cercando di non fare “subire” la terapia, rendendoli coscienti di ciò che devono superare

Elasticità del protocollo terapeutico:

· L'esperienza clinica induce a sostenere l'importanza di proporre un programma medico lontano dagli schemi rigidi ed unici che invece vengono proposti per il disavvezzamento, ad esempio dalla tossicodipendenza .

· Essendo i DCA una sindrome, abbisognano di una proposizione che, pur mantenendosi adesa ad un protocollo sperimentato, non risenta della rigidità del protocollo unico per tutti i Pazienti.

· Ogni Paziente rappresenta una unicità ed una sperimentazione

Gli Stimoli

Il riavvicinamento ai bisogni primari

· Il programma prevede l'induzione di STIMOLI orientati ad arricchire il sé

· Gli stimoli sono di carattere culturale e/o sociale (es. azioni di partecipazione solidale)

La Partecipazione Attiva

· è orientata prevalentemente verso azioni di tipo umanitario, questo produce una netta sensazione di benessere ed esalta l'importanza del singolo nel gruppo

quali sono le attività di N.A.Di.R. ?

all'interno della Comunità aperta ed in particolar modo dell'accoglienza diurna:

•  Gruppo di educazione al movimento

•  Gruppo di preparazione alla danza

•  Training autogeno

•  Gruppo di libera discussione

•  Gruppo di consulenza destinato ai genitori dei soggetti portatori di disagio

•  Gruppo di consulenza destinato ai partners dei soggetti portatori di disagio

•  Gruppo di rieducazione relazionale (studio di usi, costumi e leggi appartenenti alla cultura italiana supportato dall'azione di interscambio con usi, costumi e leggi di altre culture a completamento ed arricchimento individuale e di gruppo)

•  Gruppo di rieducazione alimentare

•  Gruppo di teatro

•  Biblioteca – Sala studio

•  Salute & Informazione:

•  Cineforum seguito da dibattito condotto dagli operatori;

•  Produzione di filmati relativi alle tematiche mediche e sociali (registrazione di eventi di particolare interesse sociale promossi dalle diverse realtà associative operanti sul territorio e/o dagli apparati Istituzionali, interviste a personaggi autorevoli e significativi in relazione all'obiettivo primario di N.A.Di.R.) in collaborazione con Arcoiris Tv ( www.arcoiris.tv ) ;

•  Seminari a carattere divulgativo (tematiche mediche, sociali) alla presenza di interlocutori autorevoli specificamente all'argomento trattato

•  Gruppo di Lettura

•  Gruppi di acquisizioni di abilità (preparazione uso del computer, apprendimento lingua italiana ed interscambio linguistico, acquisizione di abilità manuali a richiesta degli interessati)

•  Missioni di interscambio socio-sanitario con paesi del sud del mondo (es. Missione in Burundi)

•  Partecipazione ad eventi a carattere sociale svolgentesi sul territorio in collaborazione con le Istituzioni ed altre associazioni

•  Momenti ludici orientati a consolidare le relazioni interpersonali e a rafforzare il gruppo facente capo a N.A.Di.R. (cene, feste, gite, ….)

Il programma di ricerca prende avvio nel 1987, inizia la clinica nel 1989 presso la Div. di Endocrinologia (Osp. Maggiore-Pizzardi) in collaborazione con il gruppo di ricerca sui DCA facente capo alla Clinica Psichiatrica Universitaria P.Ottonello.

Dal 1994 al 2001 prosegue in ambito privato.

Nel 2001 prende avvio la sperimentazione nel contenitore associativo tutt'ora in corso .

 
 
 

 

IL RIEDUCATORE MEDICO

a cura della dott. Luisa Barbieri

l rieducatore medico, nel contesto nel nostro staff operativo, rappresenta la 1° figura di accoglienza del Paziente che si rivolge all'équipe per chiedere aiuto.

Rappresenta una figura innovativa nell'ambito del rapporto medico-Paziente in quanto si pone immediatamente in una posizione di parità nell'ambito del rapporto interpersonale, si pone come primo obiettivo l'accoglienza.

Partendo dall'etimologia stessa dell'accogliere quale azione del ricevere qualcuno con dimostrazione di affetto, all'insegna dell'accettazione, dell'approvazione, va da sé il comprendere come questo primo impatto rappresenti un tassello determinante l'inizio o meno della terapia.

Di solito ci troviamo dinanzi Pazienti che con grande difficoltà sono giunti a chiedere aiuto e il più delle volte senza troppa convinzione e soprattutto con grande diffidenza nei confronti dell'interlocutore medico. Individui che non si sono mai sentiti accettati e che non sono assolutamente in grado di accettarsi, che con grande difficoltà percepiscono e con maggiore difficoltà, se fosse possibile, esprimono le loro emozioni, conseguentemente questo primo incontro si deve porre quale obiettivo prioritario l'interscambio sull'onda di una complicità medico-Paziente che in qualche modo tenda a “spiazzare” l'interlocutore che spaventato e armato di diffidenza tenta di avvicinarsi alla terapia.

Nell'ambito del primo incontro in un setting estremamente elastico e fruibile il rieducatore deve utilizzare un linguaggio il più sintonico possibile al Paziente, deve proporsi in un contesto ambientale accogliente e contenitivo: l'empatia e la partecipazione devono farla da padroni. La relazione chiara, empatica, coinvolgente dal punto di vista emotivo tra le parti impegnate nel percorso che sicuramente sarà lungo e tortuoso ed assoggettabile ad innumerevoli variabili non prevedibili, è la chiave per aprire la porta del riequilibrio.

Durante questo incontro (SEDUTA DI PRESENTAZIONE) il tecnico dovrà illustrare con chiarezza il programma terapeutico che lo staff propone, dovrà cominciare a mostrarsi sia come medico che come individuo, fare capire che desidera ascoltare senza giudicare. L'approccio organico (l'esame clinico) potrà essere proposto se il Paziente mostra disponibilità , senza imposizioni e conseguente violenza indotta (non dimentichiamo che i nostri Pazienti sono dipendenti da atteggiamenti auto-distruttivi), ma il più delle volte viene posticipato all'incontro successivo sempre cercando di non imporre nulla (è chiaro che se le condizioni fisiche del Paziente sono palesemente critiche il medico non può astenersi dal prendere contatto e quindi valutare l'assetto organico per poi prendere immediati provvedimenti clinici).

Il Paziente deve arrivare a:

•  sentirsi a suo completo agio nel setting

•  percepire il coinvolgimento emotivo sia da parte sua che del rieducatore

•  sentirsi attivo nell'ambito del rapporto terapeutico (attore protagonista della sua stessa terapia)

•  percepire la solidità e la stabilità della figura terapeutica di riferimento (il referente terapeutico deve mostrare disponibilità al di là degli incontri programmati in quanto il Paziente ha bisogno di un contenimento costante, soprattutto all'inizio del percorso)

Il contesto relazionale deve essere chiaro, affidabile, diretto: il Paziente deve trovare un interlocutore ed un'ambientazione dove possa cominciare ad esprimere sé stesso senza timore alcuno di essere manipolato, giudicato e/o rifiutato.

Il Terapeuta deve:

•  insegnare utilizzando la dimostrazione, per primo deve mostrasi senza “maschere”, in tutta la sua umanità, mostrando anche i “lati oscuri” senza timore (il miglior insegnamento è la dimostrazione concreta)

•  aiutare il suo Paziente senza ambiguità ed esitazione partendo da una sua profonda convinzione dell'alto valore e della robusta significatività di una vita (professionale e non) realizzata attraverso ruoli socialmente produttivi

Insieme Paziente e Terapeuta devono ritrovare il valore della vita stessa ritornando ai bisogni primari con semplicità e chiarezza.

Si deve insieme capire che cosa sta succedendo senza soffermarsi solo alla sintomatologia espressa, che cosa ha scatenato l'autodistruzione (passaggio di conoscenze).

Si deve faticare insieme per risalire la china della sofferenza, dell'impotenza, della non accettazione (che parte da sé per proiettarsi sugli altri verso di sé).

Il setting rieducativo ed il medico stesso devono rappresentare una “base sicura”, un significativo punto di riferimento per il Paziente teso a rivisitare la propria vita, ad individuarne i momenti che hanno prodotto e mantenuto repertori negativi, comportamenti inadeguati, atteggiamenti e costrutti cognitivi irrazionali e devianti da una positiva evoluzione della personalità.

Il rieducatore deve avere la forza di indurre costantemente stimoli vitali sintonici all'individuo in questione, agire inducendo curiosità e desiderio vitale di sperimentazione.

Se la sintomatologia presentata rientra nell'ambito dei DCA non si deve puntare sulle dieta ipo o iper calorica quale primo ed assoluto obiettivo, ma avvicinare il Paziente agli alimenti e all'alimentazione con cautela, tenendo ben presente quanto quel sintomo distonico ad uno stato di benessere psico-fisico sia importante per l'individuo e quanto lo smantellamento di una metodica inadeguata dal punto di vista clinico faccia paura: non si può imporre il superamento delle paure, ma si deve accompagnare verso la sorgente delle paure stesse smantellando quel mostro attraverso il passaggio di conoscenze. Tutte le paure si possono superare se ci si avvicina all'oggetto della paura, lo si guarda, lo si conosce e si entra in confidenza.

Molto spesso viene lanciata una sfida alla terapia ed il medico deve avere la capacità di accoglierla dimostrando di non averne timore, anzi di accettarla e muoversi per trasformarla in complicità.

Il terapeuta deve cercare di abbassare il vissuto di onnipotenza che molto spesso caratterizza la sua figura, in quanto il porsi in una posizione alla pari senza imporre alcunché abbatte la sfida.

Il rieducatore medico deve essere in grado di sviluppare una grande capacità di ascolto, in quanto è il Paziente stesso che il più delle volte indica la via da percorrere, per fare questo occorre armarsi di tantissima umiltà.

La stessa umiltà che induce a porsi costantemente in discussione dinanzi ad ogni caso clinico: non si può standardizzare un programma terapeutico in quanto ogni individuo rappresenta una sperimentazione. Il sintomo copre il problema o la serie di problematiche verso le quali il Paziente si sente impotente e rispetto alle quali tende a negarsi.

Tutto questo per cercare di fare chiarezza circa il ruolo di una nuova figura medica che, oramai ampiamente sperimentata in ambito clinico (la sperimentazione è datata 1987 a tutt'oggi), sembra ricoprire un ruolo molto importante nello svolgimento di un programma medico rieducativo orientato a ristrutturare una serie di disagi profondi che si esprimono attraverso atteggiamenti autodistruttivi: DCA, compulsioni, depressioni reattive, isolamento sociale, disturbi di relazione in genere.

Accanto al rieducatore medico operano una serie di specialisti che con perizia si occupano delle manifestazioni cliniche specifiche e della dinamica di pensiero, oltre che della dinamica di ogni attività alla quale i Pazienti decidono di partecipare. Ovviamente lo staff tecnico si sottopone costantemente a supervisione incrociata: ogni caso clinico diventa un caso clinico di staff.

La supervisione viene inoltre consolidata da un supervisore esterno (psichiatra-psicoterapeuta) che regolarmente riunisce il gruppo di operatori e cerca di interpretare e ristrutturare le dinamiche dello staff.

Per riuscire a dare un buon servizio lo staff operativo deve essere ben consolidato e sempre in perfetta sintonia. La sintomatologia dei nostri Pazienti molto spesso induce alla manipolazione e della terapia e degli operatori, conseguentemente se non vi è una struttura solida alla base di chi presta la propria opera, il programma rischia di inquinarsi e conseguentemente di perdere in termini di efficacia clinica.

L'ambientazione nella quale il nostro staff si muove rappresenta un tassello importante e determinante il buon esito del programma: un ambiente-contenitore accogliente nel quale il Paziente possa esprimere sé stesso senza doversi reprimere in virtù del timore di essere giudicato e/o manipolato. Una comunità terapeutica con regole ben precise a cui i Pazienti devono aderire pur nel rispetto della loro struttura di personalità. Come in ogni comunità si ha la possibilità di interagire con gli altri Pazienti, imparando così le regole del branco in un ambiente “protetto” dalla supervisione degli operatori che, sempre presenti, provvedono a correggere le dinamiche alterate di relazione e a dare forti stimoli vitali in sintonia con il recupero o l'acquisizione della capacità di esprimere sé stessi in termini costruttivi per sé e per gli altri.

La Cognizione

a cura della Dott. Luisa Barbieri

Rappresenta uno dei cardini del programma rieducativo alimentare. Non è rappresentata da una semplice copia, assorbimento passivo degli oggetti, dei comportamenti, degli eventi che caratterizzano il mondo esterno, è, invece, il risultato dell'azione che ognuno di noi pone in essere in relazione agli stimoli e alla capacità di applicarli a ciò che sta vivendo, arrivando a trarne le sue personalissime conclusioni e conseguentemente le sue regole.

Sono attività di pensiero, prima che fisiche, e il pensiero si forma sulla conoscenza interiorizzata e quindi elaborata sino all'interazione fisica col mondo.

L'interazione porta inevitabilmente ad un processo di trasformazione dell'oggetto cui è destinata, oltre che ad una trasformazione del pensiero che l'ha indotta.

La trasformazione cognitiva comporta l'investimento dell'oggetto di significati; la conoscenza di per sé non agisce da motore, ma si trasforma in motore quando interagisce e conseguentemente crea dei significati che a loro volta si traducono in azioni, comportamenti, pensieri e nuove cognizioni …. come se si innescasse un processo inesauribile di apprendimento e di cambiamento.

I sistemi cognitivi non sono dunque innati, ma si costruiscono sull'onda del processo interattivo che presuppone il superamento della paura del nuovo, la disponibilità all'apprendimento, l'elaborazione mentale e la sperimentazione.

Ogni nuova organizzazione intellettiva proviene da ciò che agisce da substrato, ciò che già si è consolidato, e tende a generarne altre sempre più complesse sino alla formulazione di strutture logiche applicabili al singolo evento (es. un problema che credevamo di non essere in grado di risolvere).

Le prime strutture mentali organizzate in schemi sensomotori infantili tendono ad organizzarsi a livello simbolico, generano una logica di pensiero, vengono coordinate da sistemi sempre più raffinati e concettualizzati. Ci danno la possibilità di pensare, agire e proiettarci verso obiettivi nati dalla nostra capacità critica orientata sia verso noi stessi che verso gli altri e l'ambiente nel quale viviamo.

La cognizione è supportata dallo stimolo proveniente per lo più dall'ambiente esterno e questo è uno dei motivi che rinforza il programma rieducativo che tende, per l'appunto, ad indurre stimoli, ad aprire nuove “finestre” sul mondo affinché ciò che già appartiene agli usufruitori possa trasformarsi in pensiero concretizzabile in azione vantaggiosa al proprio benessere.

Ognuno di noi può, poi, scegliere se “guardare fuori dalla finestra”, se fermarsi ad una distanza che reputa essere di protezione, oppure se non guardare affatto.

Già la possibilità di scegliere se fare o non fare, pur nella consapevolezza che quell'oggetto esiste, rappresenta uno stimolo cognitivo e forma il pensiero libero.

Il pensiero si deve adattare utilizzando l'assimilazione e l'accomodamento ed organizzare coordinando gli schemi sensomotori e le strutture simboliche.

Assimilando si viene a strutturare il dato esterno, lo si conosce e gli si attribuisce un significato; accomodando si tende ad integrare il nuovo dato negli schemi precostituiti che già possediamo.

Organizzando gli schemi si generano nuove organizzazioni cognitive sempre più complesse, nuove forme di conoscenza nelle quali si attua un equilibrio fra i processi elementari di assimilazione e di accomodamento e quelli di organizzazione e adattamento.

Assimilare, accomodare, organizzare sono azioni che operano attraverso l'autocorrezione, che si svolgono sulla base delle informazioni che provengono dall'esterno e delle organizzazioni cognitive già esistenti dentro di noi.

Il pensiero critico che ci porta a vivere la libertà da noi stessi e dal mondo ha bisogno per crescere, rinforzarsi ed esistere di continui stimoli organizzati e potenti.

Per valutare correttamente la potenza dello stimolo non si può prescindere dall'individuo e dalla sua concezione del sé e dell'altro, oltre che dell'esperienza. In ogni caso si è visto che gli stimoli più pregnanti nascono dalla conoscenza del sociale, dall'apertura verso l'altro soprattutto se l'altro è profondamente diverso da sé.

La cognizione nasce quindi dall'interazione tra il soggetto e la realtà esterna, l'evoluzione cognitiva si realizza in una graduale separazione fra quello che dipende da noi e quello che dipende dalle proprietà dell'oggetto e quello che deriva dalla forma dell'interazione dell'uno sull'altro.

 

 

 

 

 

 

 

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