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AGLI ANTIPODI DEL BURQA
di Rita Pierantozzi
"... Oh Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate..."
(Corano 33,59)
Questa è la Aya, ovvero il versetto del Corano, da cui nasce il consiglio e non l'obbligo per le donne di religione islamica di indossare un determinato tipo di abbigliamento. Poche, poetiche parole che sottendono non solo un semplice pezzo di stoffa ma un atteggiamento della persona e soprattutto un velato concetto di attenzione alla figura stessa della donna.
Se vogliamo limitarci a prendere in considerazione queste due righe, perché una discussione filosofica e teologica sulla figura della donna nel Corano richiederebbe molto tempo e una preparazione del tutto diversa, possiamo solo ammirare la delicatezza con la quale il Profeta consiglia di coprirsi con dei veli per essere riconosciute e protette e non, come si crede solitamente per ignoranza, per annullarsi come esseri umani.
Ma pochi sanno cos'è realmente un burqa e ancor meno sanno che non è il termine esatto per indicare il velo con il quale le donne musulmane si coprono.
Il termine giusto è Hijab ovvero copertura, ed è: ”…. un obbligo di Dio verso le proprie fedeli, oltre che una forma di protezione verso loro stesse dalle possibili conseguenze dell'eccitazione maschile nel vedere le forme di una donna, oltre che essere una forma di rispetto verso il proprio marito o i propri genitori e fratelli, gli unici autorizzati a vedere le nudità della donna.” (dal sito Islamitalia.it)
Per Hijab s'intende la copertura della donna (con qualsiasi tipo di copertura non aderente) dai polsi alle caviglie, lungo tutto il corpo, coprendo anche la zona del petto, dal seno fino al collo e la copertura della testa, tenendo coperti i capelli; in pratica si lasciano scoperte le mani, il viso ed eventualmente i piedi.
Il "chador", mantello nero a copertura totale che lascia scoperti il viso e le mani, il "burqa", copertura totale di colore nero, guanti compresi, con un graticcio ricamato che consente alle donne di vedere, il "niqab" (velo sul volto), sono varianti del hijab e considerate eccessive dai più, e non sono obbligatoriamente previste della Sunnah e dal Corano.
Non è obbligatorio l'uso dell'hijab per le donne non più giovani, oltre la menopausa.
Le indicazioni coraniche sono poi adattate da paese a paese, a seconda delle consuetudini
sociali e del clima politico. Lì dove ci sono al potere governi particolarmente intransigenti è d'obbligo l'uso del burqa che diventa solo il simbolo di problemi ben più gravi come l'assenza assoluta per tutte le donne dei diritti civili di base.
In paesi liberi e democratici invece le donne sono libere di scegliere come seguire le regole di comportamento dettate dal loro Profeta.
Perché intorno a questo argomento si sono create polemiche tali da esigere addirittura il varo di una legge apposita, atta a regolarne l'uso in quanto simbolo religioso ?
Perché l'hijab fa tanta paura?
Cosa spaventa in una donna velata?
Si possono formulare tante ipotesi, si possono addurre motivazioni religiose, politiche e sociali, si può parlare di simbologia offensiva dell'identità di genere o ancora di necessità di affermare la propria appartenenza culturale e religiosa.
Non è necessario addentrarsi così in profondità.
Si può fare, secondo me una distinzione interessante: perché l'hijab spaventa un uomo?
E' una domanda forte, alla quale, in quanto donna, non riesco a dare una risposta convincente, preferisco ribaltare la domanda e lasciarla aperta: l'hijab spaventa realmente un uomo?
Non ci sono cori di uomini che si ergono in difesa di donne velate per strappare dal loro volto il drappo della “vergogna”, a parte quelli che usano tale argomentazione strumentalizzandola a fini politici.
Di solito sono le donne a parlare di repressione e a lottare affinché il dannato velo venga abolito.
Rimandando facili giudizi di merito: perché lo hijab spaventa le donne?
La paura è figlia dell'ignoranza. Una volta colmata la lacuna culturale, le donne però hanno ancora paura.
Io, in prima linea. Non sono mai stata in grado di sopportare la vista di una donna velata, ed ho tuonato, in tempi più acerbi e calienti, contro la sottomissione della donna musulmana al bieco maschio padrone.
Ma, per fortuna, nella vita si cresce e, ad un certo punto la curiosità e la voglia di conoscenza hanno preso il sopravvento sulla paura. Ho accolto quindi con entusiasmo i progetti dell'Associazione Nadir sul dialogo interreligioso ed ancora di più ho accolto con piacere l'occasione di partecipare ai due incontri con un gruppo di donne musulmane.
Donne velate, quelle stesse che non ho mai compreso appieno e che ho sempre vissuto come vittime di un sistema machista e repressivo.
Ho cercato di liberarmi dai pregiudizi più marcati e di pormi in condizione di ascolto.
Le donne che ho conosciuto non hanno nulla di sottomesso, tanto meno a qualche maschio di turno.
Donne velate per scelta, universitarie, libere lavoratrici…donne che vivono nel mondo e non in un harem…sottomesse ad un'unica volontà, quella di Dio.
Ho imparato da loro molto, ho soprattutto imparato dal mio CONFRONTO con loro.
Ho imparato che siamo diverse, profondamente diverse e la nostra diversità ci porta a scegliere strade reciprocamente incomprensibili.
Io non so cosa si prova a dedicare la propria vita a compiere la volontà di Dio…perché per me, forse più illuminista che atea, la volontà di Dio si compie in quella di un uomo giusto, anche se quell'uomo non ha mai sentito nominare Dio.
Queste donne sono un po' come le nostre suore laiche: vivono nel mondo secondo la volontà di un essere supremo ed il rispetto della Parola di Dio e del Profeta viene prima di qualsiasi altra cosa.
Di rimando, forse loro non potranno mai capire la mia scelta di vivere ed amare una donna o di porre sulla mia pelle il “segno di Caino” attraverso i miei adorati tatuaggi.
Ma non mi permetterò mai più di giudicare delle donne felici e libere, soddisfatte della loro vita e delle loro scelte.
Chiederò loro solo lo stesso rispetto.
Aspetto con gioia i prossimi incontri, sperando di imparare ancora sul loro modo di vivere e di pensare…sui loro usi e costumi, anche perché vengono tutte da paesi differenti e non si ha spesso l'occasione di incontrare persone con esperienze di vita così diverse.
Andando nel dettaglio: è vero che portano tutte il velo, ma ognuna lo porta in modo diverso. Un elemento che è sempre stato per me simbolo di repressione e prigionia diventa un civettuolo capo di abbigliamento, decisamente più sexy di tante minigonne: esalta i lineamenti sottolineando gli occhi ed i colori usati sono scelti per valorizzare la pelle che sia essa bianca, nera o ambrata….
Inoltre è pratico se non puoi andare dal parrucchiere!
Scherzi a parte…il mio tabù è caduto ed ora guardo al hijab in modo differente.
Un'unica distinzione è ancora necessaria: qui in Italia, paese laico e democratico, ogni donna è libera di scegliere cosa indossare e come comportarsi, in nome di ogni libera convinzione.
Aisha, Iman e le altre abitano qui e sono fortunate rispetto a decine di migliaia di loro sorelle costrette a vivere prive di ogni libertà e di ogni scelta, lì dove l'uomo fa fare a Dio la propria volontà, e di conseguenza, in nome di un Islam che con l'Islam ha a che vedere più o meno quanto S. Francesco con le Crociate, il burqa, perché lì è proprio burqa, si erge a simbolo definitivo di violenza contro le donne.
E noi? Noi donne cristiane di nascita, credenti per consuetudine o scelta…libere da ogni tipo d'imposizione religiosa…siamo davvero così libere come crediamo di essere?
Siamo davvero così agli antipodi di quel burqa che abbiamo imparato ad odiare?
Certo, noi siamo effettivamente libere, e questo è importante perché rendiamo libere con le nostre conquiste del passato anche tutte le musulmane che decidono di stabilirsi sul territorio italiano.
Possiamo scegliere di studiare, lavorare, chi e come amare, possiamo divorziare, abortire e votare. Disporre di noi come meglio ci aggrada.
Dobbiamo, però, imparare ad usare tale libertà.
Anche noi abbiamo il nostro paludamento da portarci appresso, il nostro spesso e pesante burqa, fatto di convenzioni estetiche e sociali che ci vengono continuamente imposte da media sempre più invadenti.
Noi siamo libere, ma spesso non ce ne rendiamo conto ed usiamo tale libertà per farci del male.
Noi non dobbiamo portare abbigliamenti codificati da un prete ma ce la mettiamo tutta per raggiungere un ideale di magrezza/bellezza/giovinezza irreale ed irraggiungibile, vivendo costantemente in uno stato di perenne insoddisfazione.
Noi possiamo sia sposarci che lavorare ma non siamo poi in grado di liberarci dalla sindrome della superdonna, casalinga perfetta, madre perfetta, lavoratrice perfetta.
In un certo senso è peggio che nel passato, durante il quale era sufficiente essere mogli e madri, ora dobbiamo essere mogli, madri ed avere successo nel lavoro.
Dovremmo apprezzare di più le infinite possibilità che abbiamo di fronte ed usarle per realizzarci veramente, senza condizionamenti…
Riflettere di più su parole come femminilità e bellezza, come sorellanza e solidarietà femminile, libertà e parità, conoscere meglio il nostro corpo e la nostra mente ed amarli di più, liberandoci così dal mantello di stereotipi e cliché ai quali fatichiamo così tanto ad adattarci.
http:// www.islam-online.it (all'interno http://www.islam-online.it/donne.htm )
http:// www.corano.it
http://www.alhuda.it/
http://www.musulmane.com/
http://www.oumma.com
http://www.webislam.com
http://www.islamonline.net
http://www.islamenburgerschap.nl/links9.html (una directory con moltissimi siti)
http://www.kuran.gen.tr/ (data base del Corano e traduzioni in 21 lingue)
http://www.usc.edu/dept/MSA/reference/searchhadith.html (data base degli ahadith)
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