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Fughe e controfughe
Abu Yasin Merighi
9/07/07
Glenn Gould, straordinario pianista canadese allontanatosi da questo mondo un quarto di secolo fa, << nell'autunno del 1958 si recò in Israele dove tenne undici concerti in diciotto giorni con la Filarmonica d'Israele. La sera di un concerto, Max Brod, amico e primo biografo di Kafka, entra dopo il concerto nel camerino di Gould accompagnato da una donna che con inimitabile accento yiddish dice: ‘Signor Gould, abbiamo assistito altre volte a suoi concerti a Tel-Aviv, ma questa sera è stata un'altra cosa. Lei non era più tra noi, lei era… era … il suo essere era come scomparso'. >>
Alle prese con un pianoforte incredibilmente malconcio, che definì << una mostruosità, completamente andato; una macchina impazzita che andava dove voleva lei >> , Gould ebbe l'idea di riprendere mentalmente la memoria tattile del suo vecchio pianoforte dell'infanzia, ritornando con l'immaginazione << al suo salotto, alle pareti, agli arredi, a tutto ciò che stava attorno al pianoforte, laggiù, nella casa che aveva lasciato ormai da oltre tre mesi >> ; un approccio che dovette dare i suoi risultati, dal momento che << la compagna di Max Brod non poté fargli maggior piacere che quello di dirgli, dopo aver ascoltato la sua esecuzione di Beethoven, ‘È il più bel Mozart che abbia mai sentito'.>> Lo stesso Gould, personaggio più che interessante, << affermava di prendere soltanto aerei delle linee israeliane perché, avendone pochi, li tenevano sicuramente meglio >> .
Ma chiudiamo subito la divagazione, peraltro utile, in quanto incentrata su di un musicista che forse più di chiunque altro ha trovato nella forma fugata il progetto estetico della propria esistenza, la ricerca di un itinerario che conduca all'esterno di sé, l'avvolgimento nel bozzolo di una solitudine operosa; e che ha suonato in Israele, là dove ora si assiste ad un altro tipo di fuga, invero meno prosaica, e non certo per merito della locale orchestra filarmonica.
Da alcune settimane è infatti disponibile il testo di un Paper dell'economista israeliano Dan Ben-David , in qualche modo ripreso e recensito dal prof. Navaretti sull'inserto domenicale del Sole24Ore con un articolo dal sottotitolo eloquente: “Da Israele economisti di fama internazionale e giovani ricercatori migrano verso gli States. Ad attrarli sono gli incentivi alla ricerca e un sistema retributivo che premia l'eccellenza.” In esso l'autore, sottolinea il peso avuto a livello internazionale da economisti israeliani nell'ultimo scorcio del secolo scorso,
In effetti gli economisti israeliani hanno avuto tra il 1970 e il 2000 un ruolo di primissimo piano nella disciplina. Se si calcola il numero di pagine pubblicate nelle riviste più importanti per individuo, Israele ha una performance quasi sette volte superiore alla Gran Bretagna. Risultato soprattutto spiegato dalla capacità di alcuni dipartimenti di eccellenza, come Tel Aviv e la Hebrew University di Gerusalemme, di creare una massa critica di talenti. La forza di questa scuola è sempre stato il legame con le Università americane. Molti economisti […] hanno studiato e lavorato ad Harward, a Princeton, all'Mit. Questa unione è stata fondamentale, ha generato flussi incrociati di idee e conoscenza e ha garantito ai migliori, attraverso il sistema delle doppie cattedre, incentivi adeguati per passare almeno una parte del tempo nel loro paese.
e, fatta questa interessante premessa, si avvicina al cuore del problema:
Questo “equilibrio virtuoso” si è spezzato negli ultimi anni. Un numero crescente di giovani che va a studiare in America on torna in Israele e il tasso di emigrazione dei professori è in crescita costante. Una fuga di cervelli che non sembra rallentata dai recenti vergognosi movimenti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna a favore del boicottaggio degli accademici israeliani, considerati complici della politica del paese nei confronti dei palestinesi, e che rischia di minare seriamente l'eccellenza del piccolo paese.
Giudizi a parte, l'autore associa la situazione accademica israeliana a quella del nostro paese, dopo aver significativamente esordito nel suo articolo con la frase << La trappola della mediocrità >>; e qui, riprendendo l'analisi di Ben-David, tenta di spiegare le cause del fenomeno:
Le ragioni alla base di questo processo sono rilevanti anche per noi. Ben-David ritiene che la situazione politica non sia così importante: il paese ha visto tempi peggiori. L'argomento non è del tutto convincente, comunque il nocciolo è altrove ed è di natura economica: i salari non sono più competitivi rispetto a quelli americani, soprattutto sono tutti molto simili; la carriera è lenta e non sempre premia l'eccellenza scientifica. Problemi identici ai nostri.
E conclude, poco più sotto, così come aveva aperto:
Continuando a pensare che un professore vale l'altro e a pagare tutti nello stesso modo ( poco o tanto che sia ) noi e gli israeliani saremo destinati alla mediocrità. Il problema è che alla mediocrità, come alla polvere, ci si abitua.
Bene, senza entrare troppo nel merito né dei destini paralleli o incrociati né delle altre cause più o meno principali che stanno alla base di questa pericolosa emorragia – che tra l'altro non riguarda solamente i cosiddetti “cervelli in fuga” bensì svariate centinaia di migliaia di cittadini israeliani con doppia cittadinanza,recentemente rientrati nelle loro patrie di origine od emigrati in altre realtà europee o nord-americane – limitiamoci a prendere atto che il fenomeno esiste e presenta dimensioni drammatiche, seppur accuratamente ignorate dai principali mezzi di comunicazione occidentali.
Nello stesso tempo però, assistiamo ad un curioso fenomeno di ripopolamento, di cui la trasmissione TG3 Mediterraneo ci parla con un apposito servizio, dove mostra centinaia di ebrei etiopi arrivati in Israele proprio in questi giorni, alle prese con i normali problemi di inserimento nella nuova realtà geografica, urbana e sociale. I cosiddetti Falashà etiopici, che tanto hanno dato da scrivere, partendo da Rabbì Eliahu di Ferrara, a Gerusalemme nel 1425, e passando dagli studi più sistematici e seri di Filosseno Luzzatto nel XIX secolo o, più recentemente, dai lavori di Ester Herzog, e che ora starebbero completando le vecchie politiche demografiche del movimento sionista, dalle operazioni Mosè, Saba e Salomone, iniziate alla fine degli anni '70 . Un inserimento peraltro non facile, e che comunque non può minimamente compensare la fuga di scienziati di cui si parlava: questi nuovi arrivati, infatti, sono perlopiù analfabeti, tant'è che il documentario mostrava interi nuclei familiari stipati nelle classi dove si insegna loro a leggere e scrivere, naturalmente in lingua ebraica; immagini tristi, vistosamente umilianti per gli anziani della tribù, costretti sui banchi di scuola insieme ai loro figli e nipoti. Fuori dalle scuole, un profondo senso di straniamento, con i più giovani che vengono utilizzati in mansioni di basso profilo ( servizi di vigilanza come guardie giurate, bassa manovalanza, etc. ), mentre gli adulti e gli anziani difficilmente trovano un impiego ed una conseguente sistemazione dignitosa. Il tutto aggravato da alcuni latenti pregiudizi sulle origini “ebraiche” dei Falashà ( termine con cui gli Etiopi indicavano gli ebrei e che significa “forestiero, straniero”, vissuto come peggiorativo dai nuovi arrivati, i quali preferiscono definirsi “beth Israel”, ‘casa d'Israele' ), come quelli che portarono nel 2001 e nel novembre scorso ad alcuni incresciosi episodi, tipo il mancato utilizzo del plasma donato dai cittadini di origine etiope, ufficialmente per ragioni di natura medico-sanitaria ( si temeva il contagio dal virus dell'HIV, l'Aids ). Che poi il clima non sia dei migliori lo testimonia l'intervista, sempre nel documentario di Tg3 Mediterraneo, ad un giovane di un'associazione di ebrei etiopi, il quale, visibilmente imbarazzato, liquidava i casi semplicemente come un << grave errore del Ministero della Salute >>.
Al di là di tutto, vi è comunque un aspetto interessante, nell'intera faccenda, ed esso consiste nel coinvolgimento dell'esercito etiope nella recente aggressione americana della Somalia; sembra infatti ragionevole ritenere che un simile intervento diretto abbia potuto accelerare le pratiche di emigrazione verso Israele, in fuga da un ambiente che qualcuno avrà certo contribuito a definire “potenzialmente rischioso”. Senza eccessivi sforzi dietologici, i risvolti cronologici dell'operazione e della “migrazione volontaria” danno comunque da pensare, specie visti gli illuminanti precedenti del Mossad ( ad esempio in Iraq, quando attentati contro sinagoghe e luoghi di ritrovo della locale comunità ebraica diede impulso ad una ingente emigrazione verso il neonato stato di Israele ) ed il ruolo che tuttora svolge nel cosiddetto Corno d'Africa.
E allora, visto che l'emorragia di ebrei in fuga da Israele continua, non vorremmo che simili metodologie si estendessero anche alle comunità ebraiche in Europa, vista la facilità con cui in genere si trovano ( e a tempo di record ) gli insospettabili colpevoli di azioni terroristiche di matrice islamica.
Vorremmo quasi chiedere al Mossad di risparmiarci una simile eventualità, in primis perché di sangue ne scorre già abbastanza, ma soprattutto perché non vorremo vedere il noto vicedirettore ad stellam David mentre, adeguatamente scortato, si flagella lungo le vie del Ghetto di Roma, o insopportabili puntate speciali di ‘8 e mezza' condotte da Giuliano Ferrara, con i soliti esperti di antisemitismo alla Panella…
Davvero sarebbe difficile sopportare tutto questo anche se, a conti fatti, è possibile che nulla di tutto ciò accada; a ben vedere, uno come Pacifici deve essere troppo anche per i falchi di Tel Aviv.
Speriamo bene. Intanto, ci appare abbastanza chiaro che il vicedirettore ad pecuniam non andrà ad insegnare negli States, le cui università << premiano l'eccellenza più di un tempo >> né in Israele, dove in ambito accademico ci si preoccupa della mediocrità avanzante.
Nel frattempo, può essere utile la lettura del libro in cui Victor Ostrowsky , ufficiale del Mossad uscito dall'Istituto, spiegava le principali metodologie operative degli agenti all'estero. Anch'egli emigrato in nord-America, per la precisione in Canada, dove i suoi ex-colleghi gli hanno pure bruciato la casa, evidentemente risentiti del suo successo editoriale.
E dove ci piace immaginare che di tanto in tanto, con gli occhi aperti, ascolti pure qualche disco di Glenn Gould.
9 luglio 2007
Abu Yasin Merighi
Schneider, Michel, Glenn Gould. Piano solo. Aria e trente variations , trad. it., Glenn Gould. Piano solo , Einaudi, Torino 1991, p.106.
Ibidem, p. 106-107.
Ibidem, p. 107.
Ibidem, p. 108.
Ibidem, p. 46.
Ben-David, Dan, “The Soaring Minds: the Flight of Israel's Economists”, Cepr Discussion Paper n. 6338, June 2007; www.cepr.org
Giorgio Barba Navaretti, Esodo senza ritorno , Il Sole24Ore dell'8 luglio 2007.
Si veda, a tal proposito, il materiale di varia natura contenuto nel sito http://www.morasha.it e l'articolo al seguente indirizzo: http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista/2006_01/05.htm.
Si veda a tal proposito, la preziosissima raccolta curata da Serge Thion, Sul terrorismo israeliano , Ed. Graphos, Genova 2004; per quanto attiene al ruolo svolto dal Mossad e, più in generale, dall'intelligence israeliana nel Corno d'Africa, si veda il saggio di Andrei e Lesile Cockburn, Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Cia e Mossad dal '48 alla Guerra del Golfo , Gamberetti Editore, Roma 1993.
Ostrovsky, Victor – Hoy, Claire, By Way of Deception , trad. it. Attraverso l'inganno , varie edizioni a quanto sembra introvabili.
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