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PREGIUDIZI & INTERCULTURALITA'
Parlare di pregiudizi
..sembra facile, razionalmente è facile capirne il significato: un carico di emozioni per lo più negative che nascono prima di ogni valutazione, lontane dalle esperienze dirette
.. giudizi nei confronti di persone e o situazioni che per lo più trovano le loro radici nell'insoddisfazione individuale e di gruppo. Un'insoddisfazione quasi sempre derivante da una deprivazione relativa, ossia da un vissuto non corrispondente al reale. Un'insoddisfazione che rappresenta il frutto dell'immaginario sviluppato in difesa di sé e di ciò che viene percepito come proprietà al di là dell'oggettività.
I pregiudizi non sono supportati da alcuna cognizione, verifica o confronto, rappresentano solo una sterile sentenza di accusa orientata a creare ostilità nei confronti di una persona appartenete ad un gruppo
. un gruppo quasi sempre vissuto come estraneo, nei confronti del quale non sembra possibile creare difese adeguate se non appunto
. aperta ostilità sostenuta dalla paura.
La paura del diverso , la paura delle culture da noi vissute come altre, come perdenti, sconfitte in partenza
. Noi tendiamo a partire sempre dal presupposto che la nostra sia la cultura dominante, una cultura che si basa sull'economia, sulla tecnologia e sulla forza militare.
Non vi è confronto o scambio e non lo si contempla nemmeno, in quanto il processo di immigrazione è unilaterale - da Sud a Nord, da Est a Ovest; forse la comprensione potrebbe prendere avvio stimolando l'integrazione culturale solo se i processi migratori fossero bidirezionali.
Però
.. non mi pare che nella storia della civiltà si siano mai verificati processi di migrazione tali da essere considerati democratici, tutti in un modo o nell'altro sono avvenuti in maniera forzata, cause: la miseria materiale, le persecuzioni politiche o religiose, la tratta degli schiavi
..
Tutto sarebbe diverso se la migrazione fosse l'esito di libera scelta di spostamento in un contesto globale ove tutti i soggetti coinvolti percepissero il diritto di sentirsi uguali e soprattutto liberi di esprimere loro stessi ovunque si trovino.
Se non vi è percezione di uguaglianza, ma prevale il sentimento di inferiorità , da una parte dominerà sempre la rassegnazione nei confronti delle culture considerate dominanti e dall'altra il rifiuto della diversità vissuta come svilente, aggressiva, addirittura ingombrante.
Sembra che la società cosiddetta civile non riesca a comprendere il valore di quella diversità che dentro di noi rimane concettualmente sorpassata, obsoleta, superata dalla nostra storia
.. come se esistesse solo la nostra storia!
Una storia tra l'altro che ha condotto ad un utilizzo della tecnologia in maniera disumanizzante , tanto da avere conquistato il dominio dell'essere umano. Parlo di dominio in quanto l'elevato livello tecnologico cui il nostro contesto sociale è giunto sta cancellando o svilendo l'aspetto umano, va al di là dell'individuo sostenuta da una sola finalità: il profitto economico che rappresenta a tutt'oggi il motore del pianeta.
La soggettività è diventata oggettività a tutti i costi venendo ad inquinare la libertà nella sua espressione più umana.
Mi pare doveroso, conseguentemente a queste valutazioni, domandarsi se e come questo nostro contesto sociale stia perseguendo un obiettivo di libertà o di schiavitù.
Libertà e schiavitù che riportate concettualmente alle antiche civiltà dove si prevedeva la netta distinzione tra una piccola privilegiata percentuale di individui considerati liberi, i detentori della cultura e della saggezza perseguiti con la contemplazione o comunque con il distacco dagli affari terreni ed una stragrande maggioranza di schiavi che con il loro sacrificio creavano le condizioni ideali affinché i pochi potessero godere dei loro privilegi
non viene spontaneo domandarsi che cosa nel nostro splendido ed avanzatissimo 3° millennio è cambiato , visto che un 20% di privilegiati vive e sfrutta un 80% di schiavi ?
È vero
non li chiamiamo più schiavi, anzi
.. quanto ci adoperiamo con il nostro buonismo a basso costo a migliorare la loro qualità di vita
sempre però utilizzando l'unilateralità nel rapporto.
Distribuiamo doni, conoscenza, rifiuti, democrazia
..
Quella democrazia di cui tanto ci vantiamo, quella democrazia sapientemente conquistata nel corso dei secoli da eserciti di colonizzatori. Una democrazia che non considera il rispetto per l'altro, il rispetto nei confronti di chi ha sviluppato nei secoli una civiltà differente dalla nostra, ma non per questo migliore o peggiore
solo DIVERSA!!
Il problema è che il diverso mette in discussione ciò che sentiamo consolidato dentro e fuori di noi
e questo risulta assai difficile da tollerare, ci vuole coraggio a mettersi in discussione.
Ascoltare, osservare e, perché no, imparare dall'esperienza dell'altro
.. rappresenta il modello di sviluppo dell'individuo
quindi del sociale, ma noi ora, come ora, ne siamo talmente spaventati da negarlo forzosamente tanto da nasconderci dietro il muro della globalizzazione che
non avrebbe nulla di negativo se non la valenza distruttiva che sa assumendo nella sua connotazione neo-liberista.
La globalizzazione, così come è attualmente concepita, non è altro che imposizione e sfruttamento economico supportata dal concetto di esclusività socio-culturale da parte del mondo ricco
.
Il sistema globale ha determinato da un lato l'allargamento del numero di relazioni interpersonali , dall'altro ne ha ridotto il loro valore assoluto , il loro significato, spersonalizzando gli interlocutori. È aumentato il numero delle reciproche dipendenze, dipendenze che vanno a mascherare le singole personalità sempre e comunque in funzione di un solo obiettivo globale: il profitto a tutti i costi!
Ogni nostro agire è relativo all'utilità che ne ricava il sistema
..
ma quanto ci appartiene questo agire finalizzato alla prestazione oggettiva imposta ? l'individuo per affermarsi si trova costretto a limitarsi ad una sola tipologia di prestazioni relative a ciò che il sistema pretende. Il sistema dal canto suo divide, fissa e rende oggettiva l'azione sociale complessiva ed è solo da quella che ognuno di noi è autorizzato ad esprimersi.
Una sorta di normalità imposta e finalizzata!
La libertà ha perso la sua connotazione originale, quella di conquista dell'indipendenza interiore, il concetto di libertà si è trasformato in NON-DIPENDENZA. Non siamo più gli attori protagonisti della nostra esistenza, ma lo sono gli intrecci delle nostre prestazioni in funzione degli scopi prioritari imposti. La relazione interpersonale evita così il contatto, l'intimità e l'emotività con conseguente rinuncia alla propria riservatezza, con enorme difficoltà nel riconoscimento del nostro corredo emotivo.
La mia esperienza clinica nell'ambito dei disturbi di relazione mi suggerisce quotidianamente come questo intrecciarsi di relazioni fittizie determini l'insorgenza di disagi sino a franche patologie a carattere autodistruttivo
L'AUTODISTRUTTIVITA' è sostenuta dall'aggressività non espressa, coartata, ma presente ed esaltata dalla forzosa chiusura cui il soggetto viene sottoposto.
Riducendosi lo spazio espressivo, ovviamente aumenta il ripiegamento su di se con conseguenti ripercussioni emotive quando la funzione che all'individuo spetta come membro impersonale dell'organismo sociale entra in collisione con quello che l'individuo aspira ad essere. Si è creata una nuova forma di schiavitù tecnologica che crea conflitto interiore, che blocca le emozioni e che induce aggressività e
. Paura, tanta paura di non riuscire ad essere ciò che virtualmente il sistema ci impone!
Ed è proprio su questo che il nostro staff medico psicologico lavora
. integrando il programma rieducativo destinato ai portatori di disturbi di relazione, con forti stimoli sociali atti ad aprire la visuale dei soggetti disagiati che purtroppo ripiegati in se stessi hanno sviluppato una visuale ad angolo acuto.
Tutto questo nel contenitore associativo identificato quale mezzo, al momento, più adeguato per il trattamento riequilibratore di questa tipologia di disagi.
Quale strada percorrere per tentare almeno di uscire da questo buco nero ? Forse l'unico strumento che abbiamo a disposizione è quello di ampliare la nostra sfera cognitiva. Maggiore è il numero di informazioni, maggiore è la possibilità di riappropriarsi della libertà di espressione, di scelta, di movimento.
Dobbiamo cercare di uscire dall'omologazione sociale sapientemente indotta e condotta dal sistema mediatico che ha modificato il nostro modo di fare esperienza. L'esperienza non è più esperienza individuale, reale, derivante dal contatto con l'altro, ma rappresentazione virtuale del mondo.
Esonerandoci dall'esperienza diretta ci rimane solo il rapporto con la rappresentazione degli eventi. Ma chi li rappresenta questi eventi ? Il sistema mediatico filtra ogni situazione, la modifica a suo piacimento ed induce un giudizio globale omologato determinando una sequela di comportamenti a risposta, comportamenti che pongono le loro basi sulla virtualità e sulla manipolazione.
Ognuno di noi rappresenta ciò che, nell'ambito di una sorta di monologo collettivo, l'esperienza della comunicazione globale induce senza alcuna possibilità di formulare valutazioni e giudizi sull'onda della nostra stessa struttura di personalità.
Siamo preda del crollo della comunicazione umana che è naturalmente caratterizzata da contraddizioni, da emozioni, da verità e bugie, perdendo in questo modo la responsabilità individuale identificabile nel parlare a proprio nome, siamo caduti preda dell'appiattimento del pensiero critico collettivo che rappresenta una potente ancora di salvezza orientata a modificare, evolvere e costruire.
È quindi la ricerca dell'ESPERIENZA DIRETTA la via per riscoprire il valore intrinseco di ognuno di noi inserito nell'intreccio relazionale del sociale ed è a questo che il nostro gruppo sta tendendo incontrandoci e collaborando al fine di abbattere le barriere mentali e relazionali che impediscono la comprensione del valore delle diversità, la possibilità di creare una cultura integrata in grado di arricchirci e come individui e come gruppi. L'educazione interculturale avvalora il significato stesso della democrazia e va pensata quale risorsa per i complessi processi di crescita della società in quanto arriva a valorizzare le diverse culture di appartenenza rendendole agevoli ed usufruibili, oltre a contrastare il sentimento razzista che altro non può, e l'esperienza storica ce lo insegna, che creare esclusione e sentimenti di alienazione sia in chi lo subisce, sia in chi lo vive.
Luisa Barbieri
Assoc. Medica N.A.Di.R. via Decumana, 50/F
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