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tratto da: OSSERVATORIO IRAQ
informazione sull'occupazione militare
Iraq: non guerra civile ma occupazione
di Sami Ramadani
openDemocracy , 7 dicembre 2006
L'Iraq Study Group non ha ancora compreso quello che in Iraq la gente sa molto bene, dice Sami Ramadani: che è proprio l'occupazione militare dell'Iraq da parte degli Stati Uniti che sta alimentando la violenza
Quando la BBC gli ha chiesto se pensava che l'Iraq stesse attraversando un periodo di guerra civile, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha detto che gli scontri in Libano e in altri luoghi in passato venivano definiti guerra civile e che la situazione in Iraq " è peggio della guerra civile”.
Io non so cosa avesse in mente Kofi Annan rispetto a ciò che sta realmente accadendo in Iraq, ma per me è chiaro che é sicuramente peggio di una guerra civile. Devo affrettarmi ad aggiungere, però, che non è una guerra civile che riguarda le comunità. Le guerre civili scoppiano in tutte le forme e dimensioni, e alcune sono più brutali di altre. Le “guerre delle rose” inglesi del XV secolo furono una serie di guerre civili così come lo furono le rivoluzioni francese, russa e cinese. Gli scontri in Libano degli 'anni '70 e '80, l'implosione della Jugoslavia agli inizi degli anni '90, e i conflitti nella Repubblica Democratica del Congo alla fine degli anni '90, tutti avevano forti elementi di una guerra civile relativa a delle comunità.
Ma noi non definiamo la guerra in Vietnam dagli '50 agli anni '70 come guerra civile, anche se essa aveva aspetti di guerra civile, perché il Fronte Nazionale di Liberazione (FNL) stava combattendo contro le forze governative sudvietnamite che contavano ben oltre un milione di soldati, col sostegno delle forze statunitensi. La politica Usa di ritiro dal Vietnam - dopo l'offensiva del Tet del 1968, il ritiro del Presidente Johnson dalla corsa alle elezioni presidenziali, e l'elezione di Richard M. Nixon – passò attraverso un processo che rafforzava le forze sudvietnamite e faceva affidamento su di esse per combattere il FNL.. Era nota come “ vietnamizzazione ".
Gli Stati Uniti impiegarono altri sette anni per ammettere definitivamente la sconfitta e ritirarsi - e solo dopo che la loro “ exit strategy ” aveva incluso una massiccia escalation della guerra, il bombardamento di Hanoi, l'allargamento della guerra al Laos, e bombardamenti a tappeto della Cambogia. La maggior parte dei vietnamiti e i loro sostenitori la definirono una guerra di liberazione (e nella storiografia vietnamita viene designata come la “guerra americana”). I media Usa la chiamarono la “guerra in Vietnam” o la “guerra contro il comunismo”.
Con il sangue degli innocenti che viene sparso abbondantemente in molte parti dell'Iraq, tutto ciò potrebbe apparire come una esercitazione scolastica pedante e una dissertazione sulla semantica. I termini ampiamente usati, però, possono informare e aiutarci a capire, mentre i termini abusati o scorretti hanno il potere di disinformare e confondere. Possono anche fuorviare l'opinione pubblica, portandola a sostenere o ad acconsentire a politiche riguardanti problemi fondamentali.
Se l'opinione pubblica globale vede la guerra come una “guerra al terrorismo” associata a una guerra civile irachena relativa alle comunità (che adesso infuria o minaccia di farlo) allora é improbabile che chieda il rapido ritiro delle truppe. Se, invece, l'opinione pubblica vede la guerra per quello che realmente è, probabilmente chiederà il ritiro immediato delle truppe. Ecco perché la questione di come definire la guerra in Iraq e di quale sia esattamente la natura di questa guerra diviene enormemente importante.
Inoltre, diagnosticare correttamente quello che accade in Iraq e andare al di là delle espressioni di cordiale banalità, é un primo passo essenziale per trovare una soluzione alla tragedia sanguinosa che sta inghiottendo il popolo iracheno.
I termini “irachizzazione” e “irachenizzazione” furono introdotti circa due anni fa, in seguito agli sforzi del Pentagono per coinvolgere un numero maggiore di iracheni nella battaglia; nessuno dei due è diventato popolare. Essi sono completamente inadeguati a dare una risposta alle questioni vitali che restano ancora in sospeso: qual è la natura della guerra in Iraq e qual è la via di uscita per gli iracheni?
Come é cominciata
Nonostante indicazioni in senso contrario, la risposta alla prima domanda non è cambiata da quando le forze guidate dagli Usa occuparono l'Iraq nel marzo-aprile del 2003 : una guerra di proiettili e politica tra le potenze occupanti e la maggior parte della popolazione irachena che vuole che se ne vadano. I sentimenti della popolazione irachena nei confronti dell'occupazione divennero abbondantemente chiari nel giro di due settimane dalla resa di Baghdad ai carri armati Usa il 9 aprile 2003.
Secondo la BBC, circa 4 milioni di persone da ogni parte dell'Iraq marciarono su Karbala per commemorare l'anniversario del più famoso martire islamico (in particolare dell'Islam sciita), l'Imam Hussain. Gli slogan più popolari di quella marcia a cui parteciparono persone di tutte le religioni e di nessuna, devono aver fatto scattare dei campanelli d'allarme a Washington e a Londra. Per molti giorni la gente intonò Kalla, Kalla Amrika – Kalla, Kalla Saddam (“No all'America, no a Saddam”). Se questo è ciò che provavano gli sciiti, come si sarebbero sentiti i sunniti, per non parlare degli atei?
Da quel momento in poi la maggior parte degli iracheni non ha mai smesso di manifestare in maniera chiara i propri sentimenti nei riguardi dell'occupazione. All'inizio, utilizzarono le parole e si impegnarono in proteste pacifiche, che portarono velocemente anche all'uso dei proiettili.
L'ultimo Rubicone fu attraversato il 28 aprile 2003, una settimana dopo la marcia su Karbala, quando soldati Usa aprirono il fuoco contro genitori e figli che si erano radunati di fronte ad una scuola elementare a Falluja per chiedere alle forze Usa di smettere di utilizzarla come avanposto e di permettere ai loro figli di ritornare a scuola. Ne uccisero 18 a sangue freddo e ne ferirono circa altri sessanta.
Fino all'uccisione di questi dimostranti, non un solo proiettile era stato sparato contro i soldati americani a Falluja o in qualsiasi altra città a nord di Baghdad. Questo fu l'evento che rimbombò per tutto l'Iraq e innescò la resistenza armata contro l'occupazione. Il fatto che Falluja è una città prevalentemente sunnita e la passione da parte delle autorità di occupazione per tentare di dividere l'opposizione, portarono alla creazione di un mito grande quanto l'inganno delle armi di distruzione di massa (Adm) che diede inizio all'invasione e all'occupazione dell'Iraq: la storia fiction che la resistenza armata è fatta prevalentemente di sunniti e che questi sono in lotta contro gli sciiti .
Le forze guidate dagli Usa risposero usando ancora più bombe, proiettili, parole rassicuranti, e denaro per capovolgere le dicerie popolari che si andavano accumulando contro di loro. Ma dopo sei mesi dall'occupazione la CIA avvertì chiaramente: “La resistenza é estesa, forte, e si sta rafforzando”. Nonostante i tentativi di confondere le acque su ciò che sta accadendo in Iraq, è chiaro che la resistenza é persino più estesa, più forte, e si rafforza ogni giorno che passa.
E la violenza brutale, il terrorismo, e gli omicidi confessionali? Questo è dove le autorità di occupazione e i media dell'establishment sono riusciti a convincere la maggioranza dell'opinione pubblica negli Usa e in Gran Bretagna del fatto che, dopo migliaia di anni di vita in comune senza il minimo accenno di guerra civile communal territoriale nella loro storia , i popoli della Mesopotamia non vogliono più “vivere e lasciar vivere”, ma hanno deciso invece di uccidersi gli uni con gli altri. Aggiungete a questo scenario la presenza esagerata di terroristi stranieri guidati da al-Qaida , che cercano di assumere il controllo del petrolio dell'Iraq, secondo George W Bush, e avrete un'immagine distorta e altamente fuorviante dell'Iraq.
Quando si pensa all'Iraq sembra si sia diffuso un vecchio atteggiamento coloniale; per alcuni i nativi sarebbero di nuovo tornati a questo punto. In questa idea, le forze di occupazione vengono fatte apparire benigne, quasi una presenza virtuosa nel mezzo della violenza confessionale che infuria.
Di conseguenza, è diventato più facile per la Casa Bianca e per Downing Street apparire preoccupati e ragionevoli quando sostengono che le truppe dovrebbero rimanere in Iraq fino a quando il “lavoro sarà finito”, “la democrazia sarà stabilita”, “i terroristi saranno sconfitti”, “gli iracheni saranno in grado di provvedere alla loro sicurezza” o “la sicurezza sarà ristabilita”.
Ovviamente adesso parlano meno di democrazia, perché i nativi non sono ancora pronti. Si parla persino di più – come lo si é fatto sin dall' inizio dell'occupazione - di sostenere un “uomo forte”. (Uno come Saddam, forse?) In realtà, l'immagine di un Iraq che imploda e generi livelli di spargimento di sangue ancora più elevati una volta che le truppe si saranno ritirate, ha convinto persino alcuni autori contrari alla guerra e la maggior parte dell'opinione pubblica contraria alla guerra che le truppe non dovrebbero ritirarsi troppo in fretta.
Come deve finire
Il rapporto tanto atteso e abbondantemente trapelato dell' Iraq Study Group (sotto la direzione di James A Baker e Lee Hamilton) è probabile che alimenti questa falsa credenza. Esso suggerisce di ridurre le truppe e fare maggiore affidamento sugli iracheni per ammazzare (più “irachizzazione”). E per apparire ancora più preoccupati e ragionevoli, essi suggeriscono di chiedere alla Siria e all'Iran di aiutare a ristabilire la pace in Iraq. Non osano neanche spingersi al punto del Capo di Stato maggiore dell'esercito britannico, Richard Dannatt , e suggerire che le forze di occupazione, che “hanno sfondato la porta a calci”, stanno “esasperando” la situazione e creando maggiore violenza. Non ci parlano di alcuni dei fatti inquietanti sul campo.
Non ci parlano dell'”opzione Salvador” e della presenza in Iraq degli squadroni della morte Usa, addestrati a Fort Bragg, in Carolina del Nord e in Israele, né ci sveleranno i segreti (come hanno cominciato a fare i generali Usa ).
Non ci parlano delle milizie segrete addestrate e finanziate dagli Usa, parzialmente svelate dal Wall Street Journal febbraio 2005 ) ma in ogni caso cosa risaputa in Iraq.
Non ci dicono perché la potenza occupante doveva contrabbandare segretamente 200.000 Kalashnikov e tonnellate di esplosivi in Iraq dalla Bosnia entro un anno (2004-2005); né a chi siano state fornite queste armi.
Non ci parlano delle centinaia di milioni di dollari che stanno venendo spesi per operazioni politiche coperte e dare appoggio a forze politiche delegate.
Non ci parlano del lavoro in corso per costruire la più grande ambasciata Usa del mondo nell'ambasciata all'interno della Green Zone di Baghdad ( fortezza ), della costruzione in corso delle circa quattordici basi militari permanenti (incluse quattro imponenti).
Non ci dicono di come, dopo gli eventi di Abu Ghraib, gran parte delle torture siano state affidate allo Stato iracheno, e della violenza contro i civili sponsorizzata da quest'ultimo
Non ci parlano – ultimo ma non meno importante – dei killer silenziosi degli iracheni.
Alcuni medici iracheni ritengono che siano più le persone che stanno morendo prematuramente a causa di altri fattori legati all'occupazione di quelle che muoiono per la violenza stessa. E' stato stimato (dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health ) che siano stati uccisi più di 654.000 iracheni dall'invasione guidata dagli Usa. Ma gli assassini silenziosi stanno reclamando vite quasi inosservati.
Le infrastrutture del paese sono state quasi distrutte; la popolazione é esposta a rischi sanitari a causa dell 'uranio impoverito proveniente dalle munizioni Usa e britanniche; il servizio sanitario é prossimo al collasso e gli ospedali sono stati ridotti all'impotenza di fronte all'aumento di malattie e feriti, in particolare di malattie causate da dall'acqua che colpiscono i bambini. La scarsità di elettricità sta colpendo gli impianti per lo smaltimento delle acque reflue che stanno pompando liquami nei fiumi.
Circa trecento tra i maggiori accademici e scienziati del Paese sono stati assassinati e il suo sistema di istruzione sta per collassare . Quanto ancora il popolo iracheno dovrà rimanere soggiogato perché Bush e Blair possano tenere saldamente al potere a Baghdad i burattini che hanno scelto?
C'é un altro aspetto sconvolgente della guerra che raramente viene riportato e che ritengo sia di importanza vitale da portare all'attenzione dell'opinione pubblica fuori dall'Iraq. C'é quasi unanimità tra gli iracheni, al di fuori delle cerchie dominanti e dei partiti, in particolare tra la gente più colpita dalla violenza terrorista, che la violenza indiscriminata sia generata e sostenuta o ignorata dalle autorità di occupazione.
Chiunque si prenda la briga di seguire le immagini quotidiane di scene di omicidi e disordini a Baghdad e in altri luoghi dopo le atrocità terroriste noterebbe immediatamente questo atteggiamento. Le immagini crude, trasmesse dalle emittenti satellitari arabe e irachene, colpiscono per la rabbia espressa dai feriti e dalle loro famiglie contro l'occupazione. Parte di questa carneficina viene mostrata alla televisione britannica ma sempre privata dei commenti fatti dalle folle inferocite e dai feriti.
Sembra giusto affermare, senza alcuna prova, che quel sunnita o quello sciita abbia causato le esplosioni ma sarebbe pura speculazione trasmettere le opinioni delle vittime della violenza.
In realtà, e ciò é anche suffragato dall'ultimo sondaggio di opinione su vasta scala condotto dal Program on International Policy Attitudes all'Università del Maryland , la maggior parte degli iracheni vede l'occupazione come il veleno che scorre nelle vene della società irachena.
Che si tratti dell'intensificarsi delle tensioni confessionali, della violenza dell'occupazione, o delle atrocità indiscriminate, i tentacoli dell'occupazione vengono percepiti essere dietro dalla gente che conta realmente: il popolo iracheno insanguinato e vessato.
Nessuna via di uscita per questa tragedia è possibile se non si guarda all'occupazione stessa e la si identifica per quello che è: la fonte e la calamita della maggior parte della violenza e delle divisioni antagonistiche. Inoltre, se le forze di occupazione guidate dagli Usa non verranno completamente e velocemente ritirate dall'Iraq, allora la ” exit strategy ” dell'America prolifererà rapidamente in nuove, devastanti guerre contro Libano, Siria, e Iran.
L'Iraq non si trasformerà improvvisamente in un letto di rose una volta che l'occupazione sarà finita. Parte di quella violenza potrà anche continuare. Ma il popolo iracheno avrà la possibilità di risolvere i suoi problemi senza avere intorno la presenza dell'occupazione guidata dagli Usa.
Viene chiamato il diritto all'autodeterminazione.
(Traduzione di Anna Sessa - Traduttori per la Pace per Osservatorio Iraq)
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