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A velo spiegato
di Abu Yasin Merighi,
26/10/06
Inutile dilungarsi sull'evidente illogicità del suddetto concetto, con buona pace di un Huntington peraltro non troppo stimato nel mondo accademico, laddove una minima conoscenza storica anche solo del bacino mediterraneo ci insegna, prendendo a prestito una felice definizione di un nostro fratello maggiore, che << le civiltà sono tali proprio perché si sono incontrate tra di loro, mentre ciò che si scontra è l'ignoranza, l'inciviltà >>; ma è altrettanto evidente, in un'opinione pubblica assuefatta ad un certo modo di elaborare messaggi tipica del linguaggio pubblicitario, che uno slogan, per quanto insensato, possa comunque funzionare fornendo la chiave di lettura di fenomeni tra loro anche molto diversi, dal momento che tale definizione reca già implicitamente l'immagine di conflittualità del resto più che presenti nelle società complesse post-industriali.
Abbiamo assistito ad una serie di improbabili e maldestri attentati di “matrice islamica”, ( Londra docet ) alcuni – inimmaginabilmente disastrosi – sventati “in extremis” con settimane di anticipo, abbiamo visto “valige intelligenti” che, invece di esplodere sul treno, si fanno ritrovare in un paio di depositi per oggetti smarriti e che, proprio in quanto tali, forniscono indirizzi, numeri telefonici, riferimenti ad un paese mediorientale in quel momento sotto massiccio bombardamento aereo….; tutto questo ha provocato, in alcuni casi, vittime reali, fiumi di inchiostro antipatico, frustrazione e odio, ma non ha compattato l'opinione pubblica europea, com'era nelle presumibili intenzioni dei maldestri esecutori, contro il mondo islamico in generale e a favore della citata “guerra al terrore”.
Qualcuno deve essersi accorto che la sola strategia della tensione non basta più, che bisogna “arricchire” il piatto per renderlo più disgustoso ed indigesto, che nel Vecchio Continente si è un po' meno creduloni che oltreoceano ( in certi casi, per la verità, neanche troppo ): così si possono spiegare allora una serie di avvenimenti di contorno, in alcuni casi promossi dall'instancabile creativo americano Daniel Pipes ( uno che per crudeltà e cinismo, tanto per intenderci, farebbe passare Oliviero Toscani per un impacciato chirichetto ), in cui reazioni scomposte adeguatamente enfatizzate avranno senza dubbio contribuito a scavare un solco ancor più profondo tra il cosiddetto mondo islamico e l'opinione pubblica occidentale.
Tra le innumerevoli formule di successo che i media sfornano con una certa frequenza, ultimamente << il problema Islam >> è indubbiamente uno delle più gettonate: è talmente immediata e consequenziale l'associazione di idee tra quella cultura millenaria ed il concetto derivato di inconciliabilità, difficoltà di inserimento, conflittualità culturale che oramai nessuno vi fa più caso, dando per scontate cose che al contrario non lo sono affatto, perlomeno nei termini utilizzati per descriverle, se così possiamo chiamare l'azione di sistematica mistificazione strumentale che circonda tale soggetto.
Ultima questione in ordine di tempo, << il problema [ appunto!!! ] del velo >>: sopite da tempo le polemiche laiciste francesi, a ridare vigore alla questione giungono le dichiarazioni del ministro laburista inglese Jack Straw il quale, espressosi recentemente in merito al velo integrale ( niqab o khimar , a seconda delle versioni ) indossato da alcune sorelle nel Regno Unito, ha dato la stura a tutta una serie di polemiche anche nel nostro sgangherato paese.
E poiché l'intera vicenda è chiaramente inserita in una “guerra di percezione” ( di fatto il nuovo fronte di aggressione mediatica studiata dai creativi di cui sopra ) che sta investendo in pieno la comunità islamica in Italia, può essere utile tratteggiare alcune caratteristiche salienti di questa nuova fase. Una volta individuate opportunamente le principali direttrici su cui deve muoversi l'offensiva mediatica in corso ( mancata separazione tra fede e politica e conseguente visione dei centri islamici come luoghi di indottrinamento e propaganda anti-occidentale ed antisemita, discriminazione misogina e questione del velo, laicità islamica [sic] come unico fattore di inserimento e integrazione in occidente ) vari soggetti si muovono in ordine sparso e innescano piccoli focolai di polemica, coinvolgendo preferibilmente esponenti della comunità islamica, dandosi il cambio con frequenza per mantenere vive su giornali e tv le varie polemiche. Ordine di scuderia: il livello del contendere deve rimanere basso, se possibile infimo, così come la natura dei personaggi coinvolti nelle polemiche, in modo che il lettore ma ancor più il telespettatore non solo si faccia dell'Islam e dei musulmani in genere un'idea sempre più aderente al modello individuato dai suddetti pubblicitari, ma sviluppi un naturale sentimento di fastidio e rimozione di fronte al problema, liquidando definitivamente qualsiasi ipotesi di approfondimento o comprensione del fenomeno, di per sé invece abbastanza complesso.
Quand'anche vi si cimentino scrittrici in vena di antropologia, il risultato non esula da una deprimente superficialità autoreferenziale che poco o nulla giova al dibattito ( la comprensione del problema essendo a priori al di fuori dell'orizzonte propositivo ):
L'origine stava sempre lì, nella paura nei confronti della potenza dei capelli femminili, così bene risolta nell'Antico Testamento cui perciò per gli uomini di Chiesa era duro rinunciare. Pertanto le monache, nella loro qualità di spose di Dio, hanno sempre tenuto i capelli rasati e la testa velata fino al Concilio Vaticano II. Anche questo Concilio, però, non è stato capace di rinunciare al segnale principale della sottomissione delle donne, obbligando le suore, pur semplificando al massimo l'abito religioso, a mantenere la testa coperta. Maometto, fedelissimo ai dettami dell'Antico Testamento, non ha fatto dunque nulla di nuovo o di diverso, e le donne musulmane si trovano oggi nella stessa condizione delle ebree della Palestina ai tempi di Gesù. Non saranno di certo gli Stati laici a poterle liberare dal velo perché il velo è segnale della loro sottomissione sessuale e sociale davanti ad Allah e davanti ai maschi.
Varrà forse la pena ricordare che il Profeta Muhammad (*) era notoriamente analfabeta, così come far notare l'avvilente consuetudine di attribuire la stesura del Corano al Profeta stesso (che sarebbe come dire che Gesù ha redatto il Vangelo e Mosè la Torah – pace su entrambi – cosa che peraltro nessuno fa mai ), ma ormai queste sono cose che interesano a pochi.
È invece interessante lo spettacolo di un operoso presidente della Regione Lombardia che afferma gongolante che nel Corano non vi è l'obbligo del velo mentre, al di là delle varie interpretazioni in materia dottrinale islamica che spero nessuno possa ritenere dipendano in alcun modo dal pensiero del Formigoni di turno, può essere indicativo osservare che nel Corano stesso ( questa volta sì ) non vi è nessun riferimento alla lapidazione per gli adulteri o le adultere, eppure nessuno dubita che tale pratica sia squisitamente islamica. Confusione e incoerenza si combinano maleficamente complicando una situazione già di suo intricata: ma è l'idea, il progetto di fondo che deve farci riflettere, oltre che inquietare. Il tentativo, neppure troppo nascosto, è quello di dare corpo ad un Islam di cartone, una specie di Club Med socio-culturale popolato di musulmani che non pregano e non digiunano, di donne emancipate non più sottomesse a Dio bensì alle seduzioni mondane, un Islam senza più moschee e senza più imam, qualcosa insomma di rassicurante, che non spaventi più gli italiani ma li induca a spendere, condividendo miseria e svuotamento di valori con una popolazione immigrata finalmente integrata.
Questa era l'idea che mosse alcuni promotori – caduti poi in disgrazia - dell'attuale Consulta islamica, questo è quanto un'opinione pubblica distratta e disillusa subisce quotidianamente senza batter ciglio, tra uno spot e l'altro.
Ultima nota curiosa: nel corso di un magistrale reportage realizzato per il programma “La vita in diretta”, una troupe della Rai si è vista respingere all'interno della Grande Moschea di Roma con la minaccia di << 40 coltellate in faccia per ognuno >>; ora, se da un lato può sconcertare che un luogo di culto gestito dalle principali rappresentanze diplomatiche arabe presenti nella capitale sia così mal frequentato, proviamo ad immaginarci cosa avremmo letto l'indomani se un simile “incidente” fosse avvenuto all'interno di una moschea aderente all'UCOII….
Ma questa è la coerenza, l'onesta intellettuale di chi sminuisce il peso dottrinale dell' hijab nella cultura islamica, facendo di ogni donna velata, nel migliore dei casi, una povera vittima del proprio marito, padre o fratello maggiore ( insomma, degli uomini di famiglia ) se non proprio una fanatica non integrabile nella cultura occidentale. Infatti, quale banalissima conseguenza deriva dall'assunto che il velo per le donne non è un precetto coranico, laddove queste continuino ad indossarlo ostinatamente? Non credo che vi siano molti dubbi in merito, né sulla sproporzione di mezzi messa in campo in questa ennesima campagna mediatica.
Una cosa però è certa, oramai da tempo: il mezzo televisivo ha abbandonato la sua funzione precipua, ossia quella di informare la gente, di fornire elementi rigorosamente chiari supportati dalla ricchezza delle immagini a disposizione. E se una volta si relegava alla carta stampata il compito di approfondire le varie questioni, di fatto anche quest'ultima ha tradito il suo pubblico; allora, per chi fosse interessato a capirci qualcosa di più, può essere utile la lettura delle seguenti opere:
Ahmed, Leila, Oltre il velo. La donna nell'Islam da Maometto agli ayatollah , La Nuova Italia, Firenze 1955.
Vercellin, Giorgio, Tra veli e turbanti. Rituali sociali e vita privata nei mondi dell'Islam , Marsilio, Venezia 2000 e sgg.
Vercellin, Giorgio, Istituzioni del mondo musulmano, Einaudi, Torino 1996
Ramadan, Tariq – Neirynck, Jacques, Possiamo vivere con l'islam?, Al Hikma Edizioni, Imperia 2000 e sgg.
Campanili, Massimo ( a cura di ), Dizionario dell'Islam, Rizzoli, Milano 2005
Se poi qualcuno ha la fortuna di avere un'amica o una compagna di studi, un vicino di casa o collega di lavoro di fede islamica minimamente preparati, può attingere anche a quel tipo di fonte, per molti versi altrettanto interessante.
E, nel frattempo, se proprio dobbiamo toglierne qualcuno, non sarebbe male iniziare con il velo di ipocrisia e mala fede che deformano una realtà innegabilmente complessa ma stimolante, denunciando i protagonisti di tale quotidiana mistificazione per quello che effettivamente sono: degli squallidi quanto irresponsabili mercanti di veleno, la cui opera intossicante nuoce gravemente alla salute.
26 ottobre 2006
Per farsi un'idea sommaria del personaggio e dell'approccio umanistico delle sue attività può esser utile dare un'occhiata al sito www.danielpipes.org . Si veda inoltre l'articolo a firma di Maurizio Blondet, Chi è Daniel Pipes, l'ispiratore delle vignette , pubblicato il 6 febbraio 2006 sul giornale on-line del sito www.effedieffe.com
Magli, Ida, Coperte e sottomesse , il Giornale, 7 ottobre 2006.
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