associazione medica a carattere socio-sanitario destinata alla cura e alla prevenzione
dei DISTURBI di RELAZIONE,
attraverso un programma clinico di reintegrazione
del soggetto portatore di disagio
oc. Medica N.A.Di.R.
Assoc. Medica Disturbi di Relazione
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IL RIEDUCATORE MEDICO
 
l rieducatore medico, nel contesto nel nostro staff operativo, rappresenta la 1° figura di accoglienza del Paziente che si rivolge all'équipe per chiedere aiuto.
Rappresenta una figura innovativa nell'ambito del rapporto medico-Paziente in quanto si pone immediatamente in una posizione di parità nell'ambito del rapporto interpersonale, si pone come primo obiettivo l'accoglienza.
Partendo dall'etimologia stessa dell'accogliere quale azione del ricevere qualcuno con dimostrazione di affetto, all'insegna dell'accettazione, dell'approvazione, va da sé il comprendere come questo primo impatto rappresenti un tassello determinante l'inizio o meno della terapia.
Di solito ci troviamo dinanzi Pazienti che con grande difficoltà sono giunti a chiedere aiuto e il più delle volte senza troppa convinzione e soprattutto con grande diffidenza nei confronti dell'interlocutore medico. Individui che non si sono mai sentiti accettati e che non sono assolutamente in grado di accettarsi, che con grande difficoltà percepiscono e con maggiore difficoltà, se fosse possibile, esprimono le loro emozioni, conseguentemente questo primo incontro si deve porre quale obiettivo prioritario l'interscambio sull'onda di una complicità medico-Paziente che in qualche modo tenda a “spiazzare” l'interlocutore che spaventato e armato di diffidenza tenta di avvicinarsi alla terapia.
Nell'ambito del primo incontro in un setting estremamente elastico e fruibile il rieducatore deve utilizzare un linguaggio il più sintonico possibile al Paziente, deve proporsi in un contesto ambientale accogliente e contenitivo: l'empatia e la partecipazione devono farla da padroni. La relazione chiara, empatica, coinvolgente dal punto di vista emotivo tra le parti impegnate nel percorso che sicuramente sarà lungo e tortuoso ed assoggettabile ad innumerevoli variabili non prevedibili, è la chiave per aprire la porta del riequilibrio.
Durante questo incontro (SEDUTA DI PRESENTAZIONE) il tecnico dovrà illustrare con chiarezza il programma terapeutico che lo staff propone, dovrà cominciare a mostrarsi sia come medico che come individuo, fare capire che desidera ascoltare senza giudicare. L'approccio organico (l'esame clinico) potrà essere proposto se il Paziente mostra disponibilità , senza imposizioni e conseguente violenza indotta (non dimentichiamo che i nostri Pazienti sono dipendenti da atteggiamenti auto-distruttivi), ma il più delle volte viene posticipato all'incontro successivo sempre cercando di non imporre nulla (è chiaro che se le condizioni fisiche del Paziente sono palesemente critiche il medico non può astenersi dal prendere contatto e quindi valutare l'assetto organico per poi prendere immediati provvedimenti clinici).
Il Paziente deve arrivare a:
•  sentirsi a suo completo agio nel setting
•  percepire il coinvolgimento emotivo sia da parte sua che del rieducatore
•  sentirsi attivo nell'ambito del rapporto terapeutico (attore protagonista della sua stessa terapia)
•  percepire la solidità e la stabilità della figura terapeutica di riferimento (il referente terapeutico deve mostrare disponibilità al di là degli incontri programmati in quanto il Paziente ha bisogno di un contenimento costante, soprattutto all'inizio del percorso)
Il contesto relazionale deve essere chiaro, affidabile, diretto: il Paziente deve trovare un interlocutore ed un'ambientazione dove possa cominciare ad esprimere sé stesso senza timore alcuno di essere manipolato, giudicato e/o rifiutato.
Il Terapeuta deve:
•  insegnare utilizzando la dimostrazione, per primo deve mostrasi senza “maschere”, in tutta la sua umanità, mostrando anche i “lati oscuri” senza timore (il miglior insegnamento è la dimostrazione concreta)
•  aiutare il suo Paziente senza ambiguità ed esitazione partendo da una sua profonda convinzione dell'alto valore e della robusta significatività di una vita (professionale e non) realizzata attraverso ruoli socialmente produttivi
Insieme Paziente e Terapeuta devono ritrovare il valore della vita stessa ritornando ai bisogni primari con semplicità e chiarezza.
Si deve insieme capire che cosa sta succedendo senza soffermarsi solo alla sintomatologia espressa, che cosa ha scatenato l'autodistruzione (passaggio di conoscenze).
Si deve faticare insieme per risalire la china della sofferenza, dell'impotenza, della non accettazione (che parte da sé per proiettarsi sugli altri verso di sé).
Il setting rieducativo ed il medico stesso devono rappresentare una “base sicura”, un significativo punto di riferimento per il Paziente teso a rivisitare la propria vita, ad individuarne i momenti che hanno prodotto e mantenuto repertori negativi, comportamenti inadeguati, atteggiamenti e costrutti cognitivi irrazionali e devianti da una positiva evoluzione della personalità.
Il rieducatore deve avere la forza di indurre costantemente stimoli vitali sintonici all'individuo in questione, agire inducendo curiosità e desiderio vitale di sperimentazione.
Se la sintomatologia presentata rientra nell'ambito dei DCA non si deve puntare sulle dieta ipo o iper calorica quale primo ed assoluto obiettivo, ma avvicinare il Paziente agli alimenti e all'alimentazione con cautela, tenendo ben presente quanto quel sintomo distonico ad uno stato di benessere psico-fisico sia importante per l'individuo e quanto lo smantellamento di una metodica inadeguata dal punto di vista clinico faccia paura: non si può imporre il superamento delle paure, ma si deve accompagnare verso la sorgente delle paure stesse smantellando quel mostro attraverso il passaggio di conoscenze. Tutte le paure si possono superare se ci si avvicina all'oggetto della paura, lo si guarda, lo si conosce e si entra in confidenza.
Molto spesso viene lanciata una sfida alla terapia ed il medico deve avere la capacità di accoglierla dimostrando di non averne timore, anzi di accettarla e muoversi per trasformarla in complicità.
Il terapeuta deve cercare di abbassare il vissuto di onnipotenza che molto spesso caratterizza la sua figura, in quanto il porsi in una posizione alla pari senza imporre alcunché abbatte la sfida.
Il rieducatore medico deve essere in grado di sviluppare una grande capacità di ascolto, in quanto è il Paziente stesso che il più delle volte indica la via da percorrere, per fare questo occorre armarsi di tantissima umiltà.
La stessa umiltà che induce a porsi costantemente in discussione dinanzi ad ogni caso clinico: non si può standardizzare un programma terapeutico in quanto ogni individuo rappresenta una sperimentazione. Il sintomo copre il problema o la serie di problematiche verso le quali il Paziente si sente impotente e rispetto alle quali tende a negarsi.
Tutto questo per cercare di fare chiarezza circa il ruolo di una nuova figura medica che, oramai ampiamente sperimentata in ambito clinico (la sperimentazione è datata 1987 a tutt'oggi), sembra ricoprire un ruolo molto importante nello svolgimento di un programma medico rieducativo orientato a ristrutturare una serie di disagi profondi che si esprimono attraverso atteggiamenti autodistruttivi: DCA, compulsioni, depressioni reattive, isolamento sociale, disturbi di relazione in genere.
Accanto al rieducatore medico operano una serie di specialisti che con perizia si occupano delle manifestazioni cliniche specifiche e della dinamica di pensiero, oltre che della dinamica di ogni attività alla quale i Pazienti decidono di partecipare. Ovviamente lo staff tecnico si sottopone costantemente a supervisione incrociata: ogni caso clinico diventa un caso clinico di staff.
La supervisione viene inoltre consolidata da un supervisore esterno (psichiatra-psicoterapeuta) che regolarmente riunisce il gruppo di operatori e cerca di interpretare e ristrutturare le dinamiche dello staff.
Per riuscire a dare un buon servizio lo staff operativo deve essere ben consolidato e sempre in perfetta sintonia. La sintomatologia dei nostri Pazienti molto spesso induce alla manipolazione e della terapia e degli operatori, conseguentemente se non vi è una struttura solida alla base di chi presta la propria opera, il programma rischia di inquinarsi e conseguentemente di perdere in termini di efficacia clinica.
L'ambientazione nella quale il nostro staff si muove rappresenta un tassello importante e determinante il buon esito del programma: un ambiente-contenitore accogliente nel quale il Paziente possa esprimere sé stesso senza doversi reprimere in virtù del timore di essere giudicato e/o manipolato. Una comunità terapeutica con regole ben precise a cui i Pazienti devono aderire pur nel rispetto della loro struttura di personalità. Come in ogni comunità si ha la possibilità di interagire con gli altri Pazienti, imparando così le regole del branco in un ambiente “protetto” dalla supervisione degli operatori che, sempre presenti, provvedono a correggere le dinamiche alterate di relazione e a dare forti stimoli vitali in sintonia con il recupero o l'acquisizione della capacità di esprimere sé stessi in termini costruttivi per sé e per gli altri.
 
Luisa Barbieri

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