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Perduto Moro, la borghesia italiana
non ha più ritrovato una guida
18-3-08

di Piero Sansonetti - da Liberazione
Giusto trent'anni fa, la mattina del 16 marzo 1978, le Brigate Rosse rapirono l'on Aldo Moro, capo della Democrazia Cristiana, dopo aver sterminato la sua scorta di 5 uomini. Vorrei ricordare i nomi di questi cinque uomini, la maggior parte dei quali aveva meno di trent'anni, e rendere loro omaggio: Oreste Leonardi, caposcorta, Raffaele Jozzino, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Damiano Ricci.
Quella mattina la storia d'Italia cambiò completamente, il suo tragitto subì una curva secca. Erano in pieno svolgimento gli anni 70. Segnati da tre fenomeni. Primo, un formidabile movimento di lotte, operaie e giovanili, che durava da 10 anni e stava modificando in modo profondissimo e strutturale i rapporti di classe, di sesso, il costume, le idee, l'ampiezza della libertà. Secondo fenomeno: era al potere una classe politica che aveva iniziato a fare i conti con questo movimento, seppur con tante resistenze, paure, contraccolpi; e stava mettendo mano ad un piano di riforme grandissimo, mai visto prima, che andava dall'aumento dei salari, alla assistenza sanitaria, dalla riforma psichiatrica, all'aborto, ai patti agrari, al diritto di famiglia.
Terzo: una borghesia, che aveva subito il '68, si mostrava disponibile a una trattativa, cioè alla rinuncia ad alcune fette di potere e all'accettazione di una riduzione dei profitti, in cambio della possibilità di restare, in un sistema di alleanze, alla direzione del paese.
Questi tre fenomeni erano intrecciati, complementari. Qualche anno prima si erano simbolicamente espressi nel patto per il punto unico della scala mobile, che veniva siglato - sulla spinta del movimento di lotta nelle fabbriche - da uno dei capi della Dc, il ministro Donat Cattin, dal capo della borghesia e degli imprenditori, Giovanni Agnelli, e dal capo dei sindacati Luciano Lama. In che consisteva l'accordo? Nel fatto che da quel giorno tutti gli stipendi e i salari erano agganciati all'inflazione non più in percentuale ma in cifra fissa. Per capirci, se l'inflazione saliva di un punto, tutti gli stipendi aumentavano della stessa cifra (per esempio 15 mila lire) sia quelli bassissimi sia quelli del top manager. Fu la misura più egualitaria mai varata in Occidente. Fu l'ultimo grande successo del movimento operaio, prima del declino negli anni 80 e 90, e del decennio attuale, che ha portato i salari al gradino infimo della classifica europea.
Aldo Moro era il garante di questo equilibrio. Non solo come capo politico, ma come punto di riferimento teorico e concreto per la borghesia italiana che tentava una via d'uscita dopo i colpi ricevuti dal '68 in poi. L'ipotesi di una uscita di sinistra dalla crisi fu spazzata via con Moro. Da quel 16 marzo, la borghesia italiana non ha più avuto un leader, una strategia, una visione che superasse gli interessi immediati e che la ponesse a livello dell'ambizione di essere classe generale, classe dirigente.
La fine del moroteismo fu in realtà la fine della Dc, nonostante il generoso e fallimentare tentativo di Zaccagnini e poi di De Mita di rimettere in piedi il partito. Il partito era morto con Moro, e la borghesia barcollò, alla ricerca di nuovi sbocchi politici. Non li ha mai trovati. Scelse la linea arrogante e thatcheriana di Romiti, cercò un nuovo leader in Craxi, ma si trovò sempre in un vicolo cieco. E allora si spaccò in tante correnti, e alla fine fu costretta ad accettare l'invasore Berlusconi, vissuto però come corpo estraneo. Verso di lui alternò fenomeni di rigetto e atti di sottomissione.
La borghesia italiana non si è mai ripresa da quella crisi. E ancora oggi vagola nel buio alla ricerca di nuove classi politiche di riferimento, che però non trova. Ora sta provando con Veltroni, ma Veltroni manca di spessore, di prospettiva. Allora - così sembra - sceglie la via della Grande Coalizione, che le sembra la più tranquilla. Perderà anche stavolta, statene sicuri. Non finirà mai di rimpiangere Aldo Moro





 

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