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Guarda il filmatoLo sgabellino in Piazza Maggiore
 
NADiRinforma assiste ad una manifestazione tanto singolare quanto espressione dei tempi che stiamo vivendo, una sorta di Speakers' Corner nostrano, un angolo dedicato alla pubblica partecipazione che da Hyde Park si è trasferito in Piazza Maggiore a Bologna. Ogni giovedì e ogni sabato dalle 11:00 del mattino Ferdinando Pozzati Piva, armato solamene di uno sgabellino, arringa un assembramento di passanti, li coinvolge in una sorta di assemblea improvvisata e al contempo organizzata. Il suo linguaggio forbito, il piglio sicuro e il berretto di lana calcato in testa lo caratterizzano. Il suo obiettivo è quello di stimolare un dibattito pubblico partendo dalla consolidata cognizione del mal vivere che ci opprime, un mal vivere che, pare, tutti noi stiamo subendo senza replicare, senza avere la consapevolezza di potere-sapere reagire. Ferdinando è convinto che solo risvegliando le coscienze, solo educando la gente al delicato processo del percepirsi parte attiva si possa ambire il cambiamento. La sua “rivoluzione” è ragionata, non violenta, non borghese: “ Le rivoluzioni si fanno in piazza. Le rivoluzioni si fanno quando la propria classe dirigente è incapace di governo e di riforme e diventa manifestamente indegna. Si fanno per sostituire gli uomini quando non esiste nessun altro strumento utile, quando la via istituzionale è impraticabile.
Il sistema elettorale non c'entra, con qualsiasi legge elettorale si vada al voto, il voto non esiste più. Da quando i partiti sono strutture di vertice (forse da sempre in Italia) col voto non selezioniamo nessuna classe dirigente, possiamo solo mettere una croce sopra nomi decisi al vertice e sopra la nostra democrazia...
” (si rimanda al manifesto redatto da Ferdinando)
Al di là di ciò che davvero tale esperimento riuscirà a sortire, una cosa è certa: rappresenta un esempio concreto di libertà di opinione in quanto qualsiasi persona può salire sullo sgabellino e parlare di ciò che vuole, coinvolgendo chi lo ascolta. Ognuno di noi potrà essere l'oratore e al contempo l'uditore in un “gioco delle parti” di cui forse il nostro Paese, la nostra Democrazia ha davvero bisogno!

 

manifesto redatto da Ferdinando

"Le rivoluzioni non si fanno nelle aule di tribunale e non si fanno via internet, non sono gratis.
Le rivoluzioni si fanno in piazza. Le rivoluzioni si fanno quando la propria classe dirigente è incapace di governo e di riforme e diventa manifestamente indegna. Si fanno per sostituire gli uomini quando non esiste nessun altro strumento utile, quando la via istituzionale è impraticabile.
Il sistema elettorale non c'entra, con qualsiasi legge elettorale si vada al voto, il voto non esiste più.
Da quando i partiti sono strutture di vertice (forse da sempre in Italia) col voto non selezioniamo nessuna classe dirigente, possiamo solo mettere una croce sopra nomi decisi al vertice e sopra la nostra democrazia.

Col voto legittimiamo il despota. E' un ferro ruggine che abbiamo ereditato dai nonni, il suo nome è plebiscito. Ma le rivoluzioni non si fanno solo per cambiare i suonatori, si fanno per cambiare la musica. La rivoluzione può essere pacifica o violenta. Continuerò a prodigarmi per una soluzione pacifica, ma non dubito che se non sarà possibile scacciare i parassiti con le buone, saranno cacciati in ogni caso, con le cattive, questo è l'esito più probabile.
Quando le rivoluzioni si fanno con le forche e i forconi, il rimedio è peggiore del male. Non esiste che le rivoluzioni le facciano i popoli nobili i quali tengono la propria classe dirigente sempre sotto stretta sorveglianza e chi sbaglia paga, immediatamente.
Nel nostro paese sono decenni, secoli, che la classe dirigente fa quel che le pare ad esclusivo vantaggio di casta con generosa elargizione delle briciole agli "amici". Nel nostro paese il potere logora chi non ce l'ha perché chi ce l'ha lo usa in un'opera di sistematica diseducazione civica.
La regola ben applicata da noi è che il despota mantiene popolo bue perché il popolo bue mantiene il despota. Anche quando gli italiani con il loro lavoro hanno costruito le loro fortune economiche lo hanno fatto nonostante la classe dirigente e con i costi aggiuntivi che questa condizione impone. Il popolo italiano non è un popolo di straccioni, magari lo fosse, i poveri hanno dignità da far invidia. I1 popolo italiano è fatto di nuovi ricchi, persone dai gusti plebei sotto ipnosi televisiva che dopo il lungo digiuno in cui si riassume tutta la loro storia precedente, i soldi li spendono in abbuffate; perciò siamo avviati ad un rapido ritorno alla pancia vuota.
Alla rivoluzione fatta dal popolo bue preferisco il despota, ma non è un'alternativa.
L'alternativa è una rivoluzione voluta e pianificata da una minoranza illuminata che riesca a trascinarsi dietro i buoi, una minoranza senza ambizioni di potere, Gandhianamente mossa da ragioni ideali.
Le rivoluzioni non possono avere carattere democratico, la democrazia comincia dopo. Lo diceva anche mussolini, perché lo diceva Pareto, ma Pareto a differenza di mussolini non lo diceva perché gli conveniva, ma perché così stanno le cose, piaccia o non piaccia. Le rivoluzioni si possono fare contro le istituzioni oppure dalla parte delle istituzioni contro gli uomini che le infestano.

Farò rigirare Montanelli nella tomba, dalle risate, ma io la rivoluzione la voglio fare con i carabinieri e con la costituzione in mano.
La ricostruzione avrà tempi lunghi e le emergenze da cui cominciare a ricostruire, prima ancora di quelle finanziarie ed economiche, saranno le macerie morali culturali e civili che abbiamo ricevuto in eredità.
Al punto in cui siamo non vedo alternative
ALLA RIVOLUZIONE !
Le rivoluzioni si possono fare con la pancia vuota ma non è una condizione obbligata.
Quando si fanno con la pancia vuota, si fanno col cervello al buio, si fanno per disperazione e con la rabbia accumulata da anni, da generazioni, si fanno con le forche e i forconi.

 
Le rivoluzioni fatte con la pancia vuota sono come esplosioni di vulcano, precedute dagli stessi brontolii intestinali, eppure, improvvise, inaspettate, violente.
Esattamente come l'eruzione del Vesuvio, come Pompei, il terremoto di Messina o l'alluvione di Firenze le rivoluzioni fatte con la pancia vuota sono calamità che al loro passaggio lasciano lutti e devastazione.
Alla rivoluzione fatta con la pancia piena e il cervello carico non ci credo, ma ci lavoro.
Ho il gusto delle sfide e vorrei trasmetterlo. La sfida non è mai lanciata contro altri per sconfiggerli, o contro montagne da scalare per possederle, sarebbe idiota. Le sfide si lanciano sempre e soltanto a sé stessi, per misurarsi, per il piacere di crescere, sulle sconfitte altrettanto che sulle vittorie.
Davide non ha sfidato Golia, ha sfidato le proprie paure, il proprio limite. Prima ancora di diventare Re, Davide era un uomo vivo.
Sono convinto che l'intera classe politica del nostro paese è debole, è divisa, è stupida. Tutte le sue ramificazioni tentacolari sono fondate su complicità e interesse, se l'interesse viene a mancare, "gli amici" si rivoltano contro "gli amici". Per mantenere interessi e complicità ci vogliono soldi e i soldi stanno finendo.

I1 (popolo) bue è stato spremuto fino all'osso, è successo di nuovo, ha dato ha dato ha dato e non ne ha più uno da spendere.
Se soltanto poche centinaia di borghesi ben collocati si mettono di traverso e fanno BUUUU, vien giù tutto come un castello di carte. Penso ai vertici di Confindustria e ai vertici Sindacali mossi dallo stesso interesse, salvare l'economia, le fabbriche e il lavoro dai disastri di una classe dirigente di incapaci prima ancora che indegni.
Se soltanto quelle migliaia di autoconvocati contro la base di Vicenza o contro l'alta velocità in va1 di Susa o sepolti sotto la spazzatura a Napoli si rendono conto che non si tratta d problemi separati, che il problema è uno solo e sempre lo stesso, cioè gli uomini che siedono sulle nostre istituzioni trattandole come poltrone private ed usandole per gli interessi loro, non c'è nessun bisogno di barricate.
Basterebbero le stesse persone nelle stesse piazze ma con una rivendicazione comune, spazzare via l'intera classe dirigente del nostro Paese, e pulizia sarebbe fatta.

Per quanto bue, il popolo non ha nessun bisogno di correre alle armi per ribellarsi ai padroni, può farlo, perché è bue, ma non ne ha 1) nessuna convenienza 2) nessun bisogno. Per quanto bue il popolo detiene sempre, sottolineo, sempre, il potere economico che è il potere numero Uno, in quanto bue, è difficile che sappia usarne, ma contro un popolo che usa la sua forza economica come strumento di pressione politica perfino l'Impero Britannico ai tempi del suo massimo splendore ha dovuto ammainar bandiera e dalla terra di Gandhi i parassiti se ne sono andati con la coda tra le gambe."
Ferdinando Pozzati Piva da Comacchio.
http://ataldegh.splinder.com/post/15947455

 

11 dicembre 2006 | 06:22
L’uomo senza megafono
La vita, tra piazza e galera, di Ferdinando Piva Pozzati,
il filosofo di via Zamboni a Bologna

 
«Non è possibile stare seduti in silenzio sul proprio divano davanti alla televisione e pensare che così ci sia comunicazione». Ferdinando Piva Pozzati, l’opinionista di piazza, ha appena finito il suo ultimo giovedì dell’anno a Bologna. Si prende un po’ di vacanza ora e, dopo la parentesi degli ultimi mesi in piazza Verdi per intercettare gli studenti dell’Università, tornerà in piazza Maggiore a fine gennaio.
Arriva da Comacchio in mattinata, lascia il Fiorino appena fuori città e si sposta in centro sulla sua bicicletta rossa. Il berretto invernale sempre a coprire la testa, qualche giornale stropicciato e una sportina con dentro un paio di libri. Ma quello che più conta è un piccolo sgabello a quattro gambe di plastica bianca a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire e da chiedergli. «È il tentativo – spiega Pozzati – di far diventare pubblico il privato. Qui non si parla a tema, ma intanto parliamo ed è questo che conta, perché altrove e altrimenti abbiamo smesso di farlo. Chiunque abbia qualcosa da dire può salire sullo sgabellino, argomentare, criticare. È quasi un embrione di soviet quel che facciamo, un soviet della cittadinanza». Attorno si raduna un sacco di gente, lo stesso opinionista di piazza si mette seduto ad ascoltare gli interventi degli altri, c’è uno zoccolo duro di fedeli uditori, si scaldano gli animi e si va avanti così fino a quando la torre civica non suona le tre del pomeriggio. Ferdinando Piva Pozzati, che dopo aver provato in tantissime città, interviene ora fisso soltanto a Bologna (il giovedì) e a Padova (il venerdì di fronte allo storico Caffè Pedrocchi), ha 56 anni e in tasca tutti gli esami universitari di filosofia. «Mai dato la tesi – attacca – perché laurea in filosofia è davvero una contraddizione in termini». Gira le piazze a parlare alla gente proprio come Socrate, in una sorta di lezione d’educazione civica che alla fine di spunti e argomenti ne tira fuori parecchi. La sua attività di moderna maieutica ha obiettivi precisi: contrastare l’avanzata di nuovi despoti e sottoporre ad un rigidissimo controllo i politici eletti. «Il mio modello è la democrazia competitiva». Contrario ad ogni tipo di violenza e lontano dai toni di predicazione messianica, è preparatissimo e non ci pensa due volte a deludere chi nelle sue tesi vuole semplicemente vedere un rivoluzionario della sinistra più radicale. «I miei riferimenti sono Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli. E Karl Popper, nonostante lui non andasse nelle piazze a parlare».
Pozzati è il cognome di una madre a cui Ferdinando resta molto più affezionato del padre. All’anagrafe il cognome è Piva, quattro generazioni fa una delle famiglie più importanti di Comacchio. «Le due che vennero prima di me scialacquarono gran parte della ricchezza, ho avuto una vita un po’ travagliata, i miei andarono in Svizzera e giovanissimo fui adottato da parenti che mi fecero studiare e mi diedero l’opportunità di girare un po’ per il mondo». Poi comincia l’attività di noleggiatore di pedalò a Lido degli Estensi. «Un lavoro che mi lasciava un sacco di tempo libero, ero occupato praticamente soltanto durante le vacanze degli altri». Sposato ma separato, padre di una figlia ventiseienne laureanda a Firenze, Pozzati abbandona tutto quando compare la mucillagine nell’Adriatico. «Il segnale – racconta – di una società che mandava in malora, un comportamento umano quello di distruggere il mare che per me è stato come una molla». E da qui via nelle piazze, sul modello dell’Hide Park Corner, a dibattere, ma soprattutto fare dibattere. Non solo. Perché Ferdinando ha passato quasi due anni in carcere a Ferrara. Vilipendio, o frasi ritenute tali, nei confronti dei presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Un anno e un mese di galera per il primo, otto mesi per il secondo. «E la terza volta ci andrò per Giorgio Napolitano perché rivendico la libertà di dire loro quello che penso. Il vilipendio, reato nato in pieno fascismo conservato intatto fino ad oggi, qualifica non tanto di me, quanto più la nostra cittadinanza politica».
Il tribunale di Ravenna ordina, prima ancora di iniziare il processo, una perizia psichiatrica. «A spese dei contribuenti – continua Piva Pozzati – da cui sono risultato sano di mente. Ma è chiaro, si sono trovati di fronte uno che diceva che in carcere ci voleva andare eccome. Per me la galera era come una sfida, mi avrebbe dato credibilità ai miei stessi occhi. Mi ha tagliato di netto gli affetti famigliari e per chi avevo attorno non è stato per niente facile, ma il tantissimo tempo che si ha disposizione per stare sui libri lo ricordo ancora con piacere». Mai imprigionato invece per evasione fiscale. «É disobbedienza civile – spiega – io non pago le tasse ad uno Stato che usa questi soldi per mandare soldati in missione piuttosto che per garantire servizi, poi vado dalla Guardia di Finanza ad autodenunciarmi». Scelta che a Pozzati è costata il pignoramento di tutti gli averi. «Ora risulto nullatenente, il Fiorino è intestato al mio vicino di casa. Ho una piccola rendita che mi permette di non lavorare e di starmene isolato a leggere tutto quanto il giorno».
Di lui i giornali hanno scritto pochissimo, tutt’al più qualche testata locale ha riportato i fatti come qualcosa di macchiettistico. Ma Ferdinando Piva Pozzati ogni settimana vuole insegnare ad essere cittadini. «Che significa – chiude – che ciascuno di noi è padrone di sé stesso. Ho fatto tanti errori anch’io, all’inizio ad esempio andavo con il megafono, ma così facendo imponevo una mia autorità. E invece no: c’è solo lo sgabellino e chiunque può salirci sopra. La cosa più difficile è ascoltare gli altri. Vedrò migliorare questo paese quando non servirà più un moderatore. Tutto questo mi costa sacrifici e il mio è solo un piccolo seme. Ma prendiamoci le piazze e cominciamo a parlarci. Questa è la comunicazione».
 
Claudio Ossani
 http://www.sabatoseraonline.it/home_ssol.php?site=1&n=articles&category_id=15&article_id=102998&l=it

 

Lo sgabello.
programmato da Alicesue alle ore 18:11

sabato, 21 febbraio 2009
Sono tornata dalla piazza un'ora fa. Cinque ore di assemblea, dalle 11 di questa mattina.
 
Lo sgabello gira, le facce si danno il cambio, le idee vengono argomentate, discusse, quasi fino allo svenimento.
A volte qualcuno si incazza.
Oggi, per la prima volta, ho urlato. Urlato forte, che la piazza era piena solo della mia voce, urlato col sorriso, perché non ce l'avevo con nessuno ma con tutti, anche con me. E quando sono scesa dallo sgabello, con le mani un po' tremanti, ho ricevuto pacche sulle spalle, e sorrisi, e qualche parola partecipe.
E' l'unico momento in cui l'umanità si rivela in tutto il suo splendore, anche quando dice cazzate.
Perché la cazzata detta lì, in quel momento, ha un senso. Perché la cazzata, lì, può essere messa a nudo e l'interlocutore, se intelligente, può cambiare opionione.
Io ne dico spesso di cazzate.
Ho imparato a cambiare idea, ad ascoltare di più, a cercare di controllare il mio furore.
La piazza, per me, in questo momento, è la cosa più importante che esista.
La piazza, e lo diceva anche Bertrand Russel quasi un secolo fa, potrebbe davvero cambiare il mondo. E' l'educazione civica, infatti, che può aiutarci a organizzare la nostra società in modo più umano e più vero (dio bono come pompa il pipppero!).
Se siete di Bologna, rinnovo l'invito:
ogni giovedì ed ogni sabato, in piazza Maggiore, dalle 11 fino a quando non cala il sole, mi trovate là.
Secondo me farebbe bene ad ognuno di noi.
http://alicesu.splinder.com/tag/ferdinando%20pozzati%20piva

 

Lo Speakers' Corner
 
Lo Speakers' Corner (in italiano "angolo degli oratori") è un'area dell'angolo nord orientale di Hyde Park , a Londra , vicino a Marble Arch e al luogo dove sorgeva il patibolo di Tyburn . È un luogo tradizionale di discorsi pubblici e dibattiti, specialmente la domenica mattina, che ha preso il posto di un luogo precedente, più all'interno del parco, noto come Reformer's Tree .
Anche se molti dei suoi oratori abituali sono chiaramente distanti dalle idee della maggioranza, ha ospitato discorsi di persone famose come Karl Marx , Lenin , George Orwell e William Morris , e talvolta viene usato dai candidati dei principali partiti politici inglesi per le loro campagne elettorali. Notevole esempio del concetto di libertà di opinione , qualsiasi persona può presentarsi senza essere annunciata e parlare su praticamente qualsiasi argomento desideri, anche se è probabile che verrà provocata dai frequentatori abituali con opinioni opposte.
La stazione della metropolitana di Londra più vicina allo Speakers' Corner è quella di Marble Arch.
tratto da Wikipedia

 

Speakers' Corner
From Wikipedia, the free encyclopedia
 
A Speakers' Corner is an area where public speaking is allowed. The original and most noted is in the north-east corner of Hyde Park in London , England . Speakers there are allowed to speak as long as the police consider their speeches lawful. Contrary to popular belief, there is no immunity from the law, nor are any subjects proscribed, but in practice the police tend to be tolerant [ citation needed ] and therefore only intervene when they receive a complaint or if they hear profanity .
Historically there were a number of other areas designated as Speakers' Corners in other parks in London, (eg. Finsbury Park , Clapham Common , Kennington Park and Victoria Park ) as well as other countries.
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